Prato

Un finto Carlo Goldoni ha scritto un'appassionata lettera sulla situazione teatrale odierna 

In realtà quello che state per leggere è un testo di Massimiliano Civica

Un finto Carlo Goldoni ha scritto un'appassionata lettera sulla situazione teatrale odierna 
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Carlo Goldoni ha scritto questa appassionata lettera sulla situazione teatrale odierna

In realtà quello che state per leggere è un testo di Massimiliano Civica, importante regista teatrale e attualmente consulente artistico del Teatro Metastasio di Prato, a cui ha aderito la Compagnia Teatro popolare d'arte e il  Teatro delle Arti di Lastra a Signa.

Lettera di C. Goldoni
ai Lavoratori del Teatro
agli Spettatori
ai Direttori di Teatri
all'Onorevole Ministro della Cultura

L'altro giorno ho ricevuto una mail da una sedicente azienda svizzera attiva da anni come fornitrice di servizi internet. Diceva: “NON FERMARTI, DALLA CRISI NASCE UNA NUOVA OPPORTUNITA. L'emergenza internazionale causata dal coronavirus ha procurato danni ingenti alla produzione di qualsiasi spettacolo dal vivo e non è possibile prevedere quando sarà possibile tornare alla normalità. […] Abbiamo realizzato una piattaforma, un portale unico per la diffusione on-demand dello spettacolo dal vivo, attraverso il quale ciascun teatro o artista potrà continuare a svolgere la propria professione, sebbene in ambiente virtuale.”

La mia prima riflessione va al grossolano errore che risalta nella dicitura “potrai continuare a svolgere la tua professione”. Perché lo spettacolo dal vivo non vede impegnati solo gli attori, adesso protagonisti di video, ma comprende anche tecnici, bigliettai, amministratori, tour manager, sarte o falegnami che, come sparisce la dicitura dal vivo, perdono la loro funzione.
La seconda riflessione va all'ambiente virtuale, un ambiente nel quale i teatranti, come per esempio le prostitute o i baristi, possono fare molta fatica a svolgere la propria professione.

Rischio digitalizzazione

In questi ultimi tempi, osservo una digitalizzazione degli spettacoli teatrali. Un gran numero di teatri è in diretta Facebook, molti spettacoli sono online e nascono piattaforme o aggeggi volanti che mi propongono di mettere su internet i video dei miei spettacoli, che un giorno saranno visualizzati da un virtuale pubblico pagante. Cominciano ad esserci bandi per residenze virtuali e le istituzioni propongono di finanziare il teatro riprodotto.
Il sistema, già basato sulla competizione, stimola la nevrotica esigenza di fare video in casa, come se gli artisti dovessero dimostrare la propria esistenza a codesta maniera.
Nel frattempo, Dario Franceschini, il Ministro della Cultura, promette un Netflix del teatro.
Lo spaesamento di questo periodo mi risulta comprensibile ma questa reazione d'istinto, quest'ansia fatta di dirette, di video e di presenzialismo un giorno ci si ritorcerà contro, per il semplice motivo che non mette in circolo le nostre competenze. Anzi, mette a repentaglio i nostri talenti, facendo affidamento sulla casualità dei mezzi tecnici a disposizione nelle nostre case, su presunte capacità video, che vanno dal montaggio all'arte di recitare davanti ad una telecamera (ammesso appunto di averne una) anziche davanti a degli spettatori.

Rifletto ancora.
In questa emergenza mondiale, non chiedo un assistenzialismo a tempo indeterminato per i lavoratori dello spettacolo. Chiedo un piccolo gesto d'onestà: l'ammissione che il teatro, adesso, non c'è e non può esserci. Il teatro, ora, non è possibile.

Meglio metterlo in pausa dal vivo, che su Netflix.

Perché è fatto di vicinanza, di ore di prove, di involontari ma inevitabili sputazzi in faccia al mio collega, di sale gremite di persone sudate, di tecnici che reggono la scala a quell'altro tecnico, di tournée. Comunicazione e partecipazione. Il teatro è dire “mercoledì vado a teatro”, forse vestirsi bene, prendere la macchina o l'autobus e andare lì, con gli altri che hanno deciso di andare lì, e che non possono essere da nessun'altra parte. Condivisione, carne e ossa.
Quindi il teatro adesso non c'è.
Voglio solo nominare questa evidenza e rispettarla. Accettare questo momento di silenzio, che vede il cancellamento di molte altre professioni in Italia e nel mondo. Aspettare e, se ne abbiamo voglia, pensare a cosa significa per noi un mondo in cui il teatro è assente, anche come fruitori. Pausa.

I lavoratori dello spettacolo continuano ad esserci, per fortuna. Hanno ricevuto un primo voucher di Seicento Euro, indifferentemente dal fatto che abbiano quattro figli o solo un gatto, poi si vedrà, come per tante altre categorie. Molti lavoratori dello spettacolo faranno altro, per un po'. Alcuni faranno gli artigiani, altri l'orto, oppure i camerieri quando sarà possibile, altri vivranno dei loro risparmi, altri non faranno più teatro anche quando le sale riapriranno. Questa è la verità che tutti quei video stanno cercando di confondere. Pausa.

Non spingiamoci fino a cambiare il senso delle parole, se il teatro è sempre successo dal vivo, capiamo almeno come si chiama questa cosa che sta succedendo online, ma non lo chiamerei teatro. Si possono fare sicuramente tantissime cose su internet, ma non scomodiamo il teatro. Basta cambiargli nome. Chiamiamolo trolley, per esempio, un nome comune e allo stesso tempo internazionale, comodo e leggero. E d'ora in poi sapremo che alle altre arti si è aggiunta quest'ultima, trolley, che è la trasfigurazione del teatro così come ce lo ricordavamo fino al 2020.

Un'ultima riflessione

va a tutte quelle compagnie che fino ad ora non hanno avuto voglia di esprimersi quasi quotidianamente attraverso video, che non avranno voglia di farlo, che si rifiuteranno di mettere online video integrali dei loro vecchi spettacoli, perché saranno pazzi di gioia quando finalmente verrà il giorno in cui le persone potranno tornare ad essere pubblico presente.
Aspettando che il mondo torni a girare almeno per un verso, cerchiamo di rimanere lucidi, interroghiamoci sulle forme con le quali il teatro potrà ricominciare e quali di queste forme produrranno senso in un mondo che probabilmente ci vorrà a distanza di sicurezza, almeno per un pò. Aspettiamo.
Aspettiamo a cambiare il senso del teatro.

Venezia, il 21 aprile 2020
In fede,
Carlo Goldoni

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