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Dalla Garfagnana alla fascia di capitano del Napoli, la storia di Di Lorenzo

"C'è stato un momento in cui credevo di lasciare il calcio professionistico"

Dalla Garfagnana alla fascia di capitano del Napoli, la storia di Di Lorenzo
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Giovanni Di Lorenzo, esterno di difesa e capitano del Napoli, rivelazione non solo del campionato italiano ma del calcio europeo, è oggi uno dei calciatori più importanti d’Italia. Perno della nazionale e della squadra di Spalletti, lanciata verso un successo dominante in campionato e un’esaltante doppia sfida in Champions League contro il Milan, nell'intervista rilasciata al quotidiano Repubblica ha dichiarato: “La Champions ha capito che ci siamo anche noi. Siamo tra la otto formazioni più forti d’Europa, non intendiamo fermarci”. 

29 anni, nato a Castelnuovo Garfagnana in provincia di Lucca, è uno dei tanti ragazzi di provincia che, dal paese, provano a raggiungere il sogno di diventare calciatore. È infatti sui campi di collina e di periferia della lucchesia che ha mosso i primi passi nello sport oggi diventato il suo lavoro dove sta raccogliendo tantissimi successi.  Addirittura è a un passo da scrivere un nuovo capitolo della storia del Napoli essendo il capitano del probabile terzo scudetto degli azzurri dopo Maradona, possibilità che allo stesso giocatore fa provare forti emozioni. “Solo pensarci mi vengono i brividi”.

Una storia fatta di sacrifici non senza momenti difficili da superare e giorni in cui il calcio professionistico sembrava allontanarsi dal futuro del giovane Di Lorenzo, come lui stesso ha ricordato nella bellissima lettera scritta ai compagni di squadra quando lo hanno eletto capitano, che rievoca i giorni in cui a 15 anni era un ragazzino di Ghivizzano che sognava di giocare in serie A.

“Quel ragazzino di 15 anni che ne dimostra anche meno si chiama Giovanni Di Lorenzo e sta per fare il suo esordio in serie D. Qualche giorno prima, come ogni pomeriggio dopo la scuola, stavo camminando con la borsa in spalla addentando un panino con prosciutto cotto e mozzarella, preparato accuratamente da mia madre la mattina stessa. Quella tracolla rossa e nera mi rendeva inconfondibile, soprattutto quando da lontano sentivo il rumore nitido della suola di un paio di scarpe da ginnastica sbattere contro l’asfalto: Giovanni! Come stai? Mi raccomando eh, che domenica voglio vedere il tuo esordio. Era una sorta di rituale, capitava ogni giorno che incontrassi quell’uomo. Antonio Nuzzolo, ormai anziano, nonno di un mio amico. Il mio più grande tifoso. Lo incontravo mentre faceva jogging, tarato come un orologio svizzero sulla mia partenza, destinazione Lucca, dalla stazione di Ghivizzano-Coreglia, microscopico comune alle pendici di Lucca” 

L'esordio in serie D

"Quel giorno, a Forcoli, durante il mio esordio in Serie D, probabilmente non toccai neanche un pallone. Avevamo già vinto il campionato e mi venne concesso un po’ di spazio. Tanto che, alcuni giorni dopo, mi mandarono a un torneo giocato a Parma tramite l’Udinese, dove c’erano i migliori osservatori. Rientrato a casa, squillò il telefono. Risposi ed era Paolo Giovannini, il direttore sportivo della Lucchese, che chiamava dalla sede. Voleva parlare con i miei genitori. Gli passai mia madre, che dopo qualche minuto mi rese il telefono: ‘Vuole parlare con te’. La domanda fu secca: ‘Giovanni, vuoi andare alla Reggina?’. Mi si offuscò la mente, venni ricoperto da una vampata di calore. Balbettai qualcosa, pensai che sarebbe stato davvero strepitoso. Certo, a centinaia di chilometri da casa. ‘Ah, molto importante: devi dirmelo adesso, perché sono a Milano insieme al loro presidente e dobbiamo chiudere’. ‘Digli che andiamo’, risposi. Secco, deciso. Stavano trattando due calciatori e gli avevano chiesto in cambio il miglior giovane del vivaio. Avevano scelto me. Inutile dire che il cambio di vita fu drastico, difficile e spiazzante. La Reggina, però, aveva un bel settore giovanile e ottime strutture. Era un fiore all’occhiello, in quegli anni. Lasciai i campi spelacchiati per gli stadi”.

Quando Giovannini chiamò: "ti vuole la Reggina"

“L’arrivo alla Reggina - prosegue la lettera scritta da Giovanni Di Lorenzo - il prestito, il ritorno sullo Stretto e la doccia gelata del fallimento: Procedeva tutto alla grande e si aprirono per me le porte della prima esperienza in prestito: Cuneo. Neve, ghiaccio, terreno da gioco durissimo a causa del gelo, ma lì sono diventato grande. Risalii la penisola per giocare le mie carte. Mi presi il posto da titolare e la convocazione nella Nazionale Under-20. Quando tornavo a casa, cercavo di prendere tutto il buono di Ghivizzano e delle sue 1500 anime, per portarlo dentro di me. I miei genitori mi venivano a prendere, la sera una veloce cena con gli amici, e ripartivo verso Cuneo. Purtroppo, durante le mie camminate, non incontravo più il signor Antonio: ci aveva già lasciati”.

L'inferno del fallimento e la rinascita a Matera

Di Lorenzo

“Alla fine del prestito, tornai alla Reggina. Il baratro, però, mi attendeva. Avevo quasi 23 anni quando, dopo due stagioni in Calabria, ci venne comunicato che la società era fallita. Di botto, tutti i sacrifici si erano arenati come l’ultima onda della giornata sulla sabbia. Risucchiati e scomparsi. Ero svincolato, non più giovanissimo. Senza una squadra. Dopo i treni, i panini e tutte le risorse che avevo investito nel mio sogno. Mi allenai da solo, a Ghivizzano, per sentirmi a casa. Non era facile. Anzi, era davvero tosta. Paolo Giovannini, che nel frattempo era diventato il direttore sportivo del Pontedera in Lega Pro, mi disse: 'Giovanni, io ti prenderei subito, ma  meriti altri palcoscenici. Si diede da fare e dopo qualche giorno mi richiamò: Ascolta, ti va di andare a Matera? Sono una bella squadra, ti do una mano io con i contratti e tutte le scartoffie'. Si prese cura di me e in poco tempo trovai squadra. Feci le valigie e tornai verso Sud, prima di risalire, due anni più tardi. Il richiamo di casa, ancora. Sembrava il destino, probabilmente anche per la vicinanza alla mia terra sono riuscito a fare così bene a Empoli. Una grande famiglia, a partire dal presidente. Avevamo tutti e tutto a portata di mano. Sono brave persone, che si meritano quello che stanno ottenendo. Anch’io andavo alla grande. Segnai pure qualche gol. In particolar modo, quello in casa contro il Torino”. 

La serie A e l'amore sbocciato con Napoli

 Di Lorenzo Empoli“Arrivato a Napoli, dopo le visite mediche, andai al mare. Ebbi subito occasione di comprendere lo spirito dei miei nuovi tifosi, tra i più stimolanti del mondo per un calciatore. Appena entrato in acqua, vidi una signora correre verso di me con un neonato in braccio. Me lo posizionò addosso e, mentre cercavo ancora di capacitarmi di cosa stesse accadendo, iniziò a scattare le foto. Ero imbarazzato, non me lo aspettavo. Era l’inizio di questa storia d’amore. Tanto che alla fine, pure la mia neonata, Azzurra, è nata qui. Se già prima di quel giorno, di cose ne erano successe tante, in quel preciso istante iniziarono a moltiplicarsi a dismisura. Il San Paolo, l’esordio in Champions League contro il Liverpool, la qualificazione mancata contro l’Hellas. Ricordo che prima delle prime gare, aprivo YouTube per guardarmi i video dei cori allo stadio che si sentivano in tutta la città. Mi venivano i brividi e non vedevo l’ora di esserne protagonista. Magari, che so, da leader. Era tutto come nei video, una bolgia di suoni che dal campo ondeggia ancor più forte. Ti senti un gladiatore. Come quello che ho tatuato sul braccio insieme a mio fratello. Il primo di una lunga serie. Su quel braccio, qualche settimana fa, ci ho messo per la prima volta una fascia. Quella da capitano del Napoli. Capitano, del Napoli. Io, capitano del Napoli. Tutti quei panini, d’un tratto, avevano un senso. Tutti quei treni, tutte quelle corse, tutti quei saluti ad Antonio davanti alla stazione. Tutte le volte che ho abbracciato i miei in stazione. Tutto aveva un senso. E chi ci credeva, quel giorno a Forcoli, che sarebbe successo”.

matrimonio Di LorenzoUna bella storia quella di Giovanni Di Lorenzo, che oltre ai suoi sogni, racconta uno spaccato di vita di provincia in Toscana nei paesi della Garfagnana, dove il calcio non è solo uno sport ma una ragione di vita, a cui il calciatore del Napoli, sposatosi recentemente a Lucca con la fidanzata storica Clarissa Franchi, è ancora molto legato. 

Andrea Spadoni

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