Trasferimento Cavalli da Sesto a Milano: parla uno storico dipendente
«Qui a Sesto Fiorentino ormai ho una vita. Non potrò trasferirmi a Milano».
L’incontro promosso dalla regione Toscana, con i sindacati e la proprietà della Maison Cavalli, è stato purtroppo un nulla di fatto. L’azienda, infatti, ha reiterato la volontà di trasferire a Milano tutte le attività svolte presso lo stabilimento di Sesto Fiorentino.
Trasferimento Cavalli da Sesto a Milano
Una decisione che sta fortemente preoccupando le 170 maestranze che oramai da quattro anni si trovano, loro malgrado, protagonisti di continue vertenze senza che la Cavalli possa tornare a rivestire un ruolo di primo piano nell’olimpo della moda.
Il racconto
«Stiamo vivendo delle settimane davvero dure – ha raccontato a BisenzioSette uno storico dipendente della maison – dopo tanti giorni passati in cassa integrazione, lavorando con lo smart working, dal 4 maggio scorso, circa 25 maestranze sono tornate a lavorare presso lo stabilimento produttivo dell’Osmannoro. La decisione di trasferire tutto a Milano è contraria alla stessa storia della Cavalli, l’azienda è nata ed è stata fondata a Firenze e da sempre ha puntato sul made in Florence, come elemento assoluto di qualità. La chiusura dello stabilimento determinerebbe anche lo smembramento dell’archivio storico e del museo con tutte le informazioni sulle più belle sfilate di Cavalli che rappresenta la memoria storica aziendale ed è fonte di ispirazione per chiunque vuole accedere. Per quanto mi riguarda – ha proseguito il dipendente – non potrò andare a lavorare a Milano, qua oramai mi sono costruito la mia famiglia e ho sviluppato la mia vita. In assenza, peraltro, di un puntuale piano strategico che testimoni e illustri i processi di sviluppo aziendale che la nuova proprietà vuole realizzare, la richiesta di trasferimento è ovviamente inaccettabile, si tratta di uno spostamento ingiustificato e che potrebbe avere come unica ragione quello di mascherare una forte riduzione dell’organico, già falcidiato negli ultimi anni. Purtroppo – ha proseguito ancora il dipendente – dopo la vendita dell’azienda dal suo fondatore, tutte le scelte adottate sono state sbagliate e controproducenti come aver dismesso la stamperia su jeans e su pelle, che certamente aveva un costo elevato ma che rappresentava il più importante tratto distintivo del brand. Oramai da tempo l’azienda non investe più in pubblicità, un tempo in televisione e suoi giornali la pubblicità della Cavalli era sempre presente così come è stato sbagliato aver chiuso la gran parte dei negozi monomarca dislocati in ogni angolo del mondo. Delle circa 120 boutique oggi ne saranno rimaste attive appena una decina; tutti negozi che oggi sono chiusi a causa dell’emergenza sanitaria in corso. All’interno dello stabilimento – ha precisato – abbiamo un’età media tra i 35 ed i 45 anni e probabilmente su 170 addetti non più di 40 potranno davvero trasferirsi a Milano. Oggi, dopo tutti questi anni nei quali si sono susseguite le vertenze ed abbiamo assistito progressivamente allo smembramento dell’azienda, siamo veramente stanchi e logorati, impauriti dalla possibilità di perdere il nostro posto di lavoro. Anche la pandemia in atto, purtroppo, non ci sta aiutando, gli ordini sono pressoché fermi a causa dell’impatto significativo che la diffusione del covid-19 sta avendo sull’intero settore della moda globale e locale e ci resta difficile mantenere la speranza e l’entusiasmo. Forse, nonostante le tante proteste che abbiamo promosso in questi anni, non siamo stati in grado di avere quella ribalta nazionale che metta al centro del dibattito il nostro futuro».