Grano: Coldiretti Toscana, nessun allarme scorte in Toscana ma futuro incerto

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Grano: Coldiretti Toscana, nessun allarme scorte in Toscana ma futuro incerto

 

Nessun allarme grano. Almeno non ancora. Non si prefigura al momento nessuna emergenza scorte in regione soprattutto per il grano con il prossimo raccolto ormai alle porte che si preannuncia positivo sia in termini di resa che di qualità anche se resta il nodo futuro. In Toscana, secondo le intenzioni di semina Istat, che risalgono però a prima del conflitto, gli agricoltori coltiveranno 1,4% in più di grano duro ed il 12,1% di orzo ma il 4,4% in meno di grano tenero, il 7% di mais ed il 4,5 di avena. A dirlo è Coldiretti Toscana in riferimento alle preoccupazioni generate dallo sconvolgimento globale causato dalla guerra in Ucraina con le quotazioni del grano, balzate del 35% a soli tre mesi dall’inizio dell’invasione, che stanno determinando una situazione che nei paesi ricchi ha generato inflazione ma in quelli poveri provoca carestia e rischi di rivolte con ben 53 Paesi a rischio alimentare secondo l’Onu.

Il raggiungimento dell'autosufficienza

“Nel giro di due-tre anni, attraverso la stipulazione di contratti di filiera, potremo avviarci verso il raggiungimento dell’autosufficienza nella produzione dei cereali e quindi anche di grano duro per produrre la pasta. Se oggi ci troviamo in questa situazione di forte dipendenza è perché i grandi player della filiera e la grande distribuzione organizzata per pura convenienza economica lo hanno acquistato dall’estero spingendo gli agricoltori italiani a smettere di coltivarlo. Questa è la verità. In Toscana, e così come in tutto il paese, c’è disponibilità di terreni che possono consentirci di aumentare la produzione interna e di ridurre il gap ed aziende pronte a tornare a seminare cereali. Solo così possiamo difenderci dalle speculazioni. – rilancia Fabrizio Filippi, Presidente Coldiretti Toscana – Il sistema paese deve tornare a puntare su grano a km zero, un grano etico, sostenibile e sicuro, così come sul mais locale per non essere più costretti a razionare l’alimentazione del bestiame come sta succedendo in queste settimane. Lo sblocco di 60 mila ettari di terreni nella nostra regione da parte della UE, che potenzialmente potrebbero garantire 1,5 milioni di quintali di cereali in più, è un primo step anche se è ancora molto presto per capire se questa strategia funzionerà e per quali tipologie di semine. Per cambiare veramente passo è necessario pagare agli agricoltori il prezzo giusto che non può essere inferiore o uguale ai costi che sostiene. Allora si che gli agricoltori torneranno a coltivare grano…”.

Gli accordi

A dimostrare che gli accordi di filiera invocati da Coldiretti tra agricoltura ed industria sono la direzione corretta che il paese deve percorrere per ritrovare sovranità alimentare, garantire cibo di qualità e sicuro e ridare una vera centralità all’agricoltura riconoscendo agli agricoltori un prezzo minimo garantito che si trova al di sopra dei costi di produzione, è l’accordo siglato nel 2019 tra Filiera Agricola Italiana ed il Pastificio Fabianelli di Castiglione Fiorentino. L’accordo si prefigge di realizzare una filiera toscana della pasta a km zero attraverso la produzione di grano duro della Valdichiana aretina. “L’obiettivo era, ed è tutt’oggi, produrre una pasta 100% toscana dal campo alla tavola. – fa sapere il Presidente di Coldiretti Arezzo, Lidia Castellucci - In appena tre anni le superfici a grano duro nei comuni della Valdichiana coltivate con la finalità di garantire il rifornimento al pastificio nell’ambito dell’accordo sono aumentate del 39% passando da poco meno di 4 mila ettari a circa 5.500 ettari”.

Un dato, quello della Valdichiana grazie alla spinta dell’accordo di filiera, in netta controtendenza rispetto quadro regionale che ha visto praticamente dimezzare le superfici in dieci anni. Oggi in Toscana si producono circa 1,7 milioni di quintali di grano duro e poco meno di 1 milione di grano tenero. Lo stesso è accaduto per il mais: in Toscana le superfici destinate sono poco più di 11 mila ettari contro i 63 mila del 1982. Un’altra motivazione molto forte all’abbandono è quella della presenza degli ungulati che nel corso degli anni è cresciuta a dismisura rappresentando una vera e propria calamità diffusa su tutto il territorio regionale. Ma non solo. Quest’anno sono praticamente raddoppiati in Italia i costi delle semine per la produzione di grano per effetto di rincari per il gasolio necessario alle lavorazioni dei terreni ma ad aumentare sono pure i costi dei mezzi agricoli, dei fitosanitari e dei fertilizzanti. Rincari che hanno fatto aumentare fino a 14-358 mila euro i costi di produzione delle imprese con punte fino a 47 mila euro per le stalle da latte e  99 mila euro per gli allevamenti avicoli mettendo a rischio il futuro di 5.000 imprese agricole toscane secondo l’indagine Crea.

Per l’Unione Europea nel suo insieme – conclude Coldiretti Toscana – il livello di autosufficienza delle produzione comunitaria varia dall’ 82% per il grano duro destinato alla pasta al 93% per i mais destinato all’alimentazione animale fino al 142% per quello tenero destinato alla panificazione secondo l’analisi della Coldiretti sull’ ultimo outlook della Commissione Europea che evidenzia l’importanza di investire sull’agricoltura per ridurre la dipendenza dall’estero e non sottostare ai ricatti alimentari.

“Occorre lavorare da subito per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali – ripete il Presidente della principale associazione che si occupa di agricoltura – ma è anche necessario investire per aumentare produzione e le rese dei terreni con bacini di accumulo delle acque piovane per combattere la siccità, e da questo punto di vista la Toscana si è finalmente mossa, contrastare seriamente l’invasione della fauna selvatica che sta costringendo in molte zone interne all’abbandono nei terreni e sostenere la ricerca pubblica con l’innovazione tecnologica a supporto delle produzioni, della tutela della biodiversità e come strumento in risposta ai cambiamenti climatici”.

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