Monumentalità, emozione, umanità. Il mendicante moro, opera di Giacomo Ceruti, artista milanese del XVIII secolo, si distingue per la forza espressiva e la profondità psicologica. Ceruti, noto per le sue raffigurazioni avanguardistiche, riesce a conferire individualità anche ai soggetti più umili.
Il dipinto, realizzato nella prima metà del diciottesimo secolo, è recentemente entrato a far parte delle collezioni degli Uffizi. Questa acquisizione non solo arricchisce il museo con un altro capolavoro, ma risulta fondamentale per completare la sua collezione, che fino ad ora includeva solo un altro lavoro di Ceruti, il Ragazzo con cesta di pesci e granseole, realizzato circa dieci anni dopo il Moro.

Chi è il Moro
Il protagonista del dipinto è un uomo che, nonostante gli abiti stracciati e il gesto di chi chiede l’elemosina, viene rappresentato con la stessa solennità e riguardo stilistico che si riservava ai ritratti nobiliari. La sua fisionomia è colta con un verismo estremo; il fulcro dell’opera sono gli occhi, le pupille nerissime che contrastano con la sclera candida, sofferenti e stanche, ma vive.

Il valore emotivo del dipinto risiede nella fisionomia del volto, chiaramente tratto da un soggetto vero, e nello sguardo. Ceruti non mostra solo curiosità per l’esotico, ma una piena partecipazione umana per l’individualità di questa persona, presentandola con grande spessore psicologico.
Durante il Rinascimento e il Barocco, soggetti di origini africane compaiono frequentemente nell’arte italiana, dai magi ai paggi. La statuaria dei “mori”, prevalentemente impiegata nelle arti decorative, rappresentava spesso servitori e valletti, privati di dignità e relegati a simboli di opulenza.

Il mendicante di Ceruti, vestito di stracci, contrasta nettamente con questa impostazione. La fama del pittore, attivo nell’Italia settentrionale nel XVIII secolo, è legata ai suoi ritratti di individui apparentemente umili, raffigurati non come figure comiche ma come persone, parte di un popolo operoso da cui sarebbe emersa la grande borghesia europea. Le sue opere sui mendicanti sono pietre miliari, notevoli per la loro schiettezza e la dignità umana conferita ai subalterni di un feudalesimo in declino.

La storia collezionistica del Moro è incerta, ma l’opera è conosciuta dagli studiosi per essere stata esposta nella mostra longhiana dedicata ai Pittori della realtà (Milano, 1953). Da allora, è stata oggetto di ottima bibliografia, apparendo in numerosi cataloghi e monografie. Recentemente è tornata alla ribalta in occasione della mostra Giacomo Ceruti nell’Europa del Settecento, curata da Roberta D’Adda, Francesco Frangi e Alessandro Morandotti, tenutasi a Brescia nella primavera del 2023.
Il direttore Simone Verde: “Stravolge le convenzioni iconografiche del tempo”
Il direttore delle Gallerie degli Uffizi, Simone Verde, ha dichiarato: “Dopo il Matrimonio Mistico di Santa Caterina de’ Ricci di Subleyras, le collezioni della pittura del XVIII secolo degli Uffizi si arricchiscono di un altro capolavoro, il Mendicante Moro di Giacomo Ceruti. Questo ritratto, unico nel suo genere, stravolge le convenzioni iconografiche del suo tempo e amplia i confini culturali di un secolo in cui si afferma la modernità e i valori dell’uguaglianza”.