In ricordo di Fabrizio Mazzoni, scomparso a 76 anni
Rimasto orfano di madre ad appena quattro mesi perché la scheggia di una mina alleata l’aveva colpita mentre cercava di proteggerlo.
Questa battaglia non è riuscita a vincerla. Fabrizio Mazzoni, 76 anni, se n’è andato dopo aver combattuto contro una terribile malattia che in poco tempo l’ha portato via all’affetto dei suoi cari.
Nato e cresciuto a Lastra, Fabrizio era conosciuto da tutti. Una vita difficile, da combattente appunto, a cui aveva sempre risposto a testa alta e riuscendo così ad avere e dare quell’amore alla sua famiglia che ancora oggi ricordano la moglie e i tre figli, Giacomo, Marina e Cristiano.
Un uomo d’altri tempi, con una grande forza interiore data anche da una vita che fin da subito non gli ha risparmiato atroci sofferenze.
Orfano a quattro mesi quando la madre fu colpita da una scheggia di mina degli alleati proprio perché si era protesa per proteggere i suoi figli, Fabrizio e Roberto. Il padre di Fabrizio, impazzito dal dolore, se ne andò e i figli per anni stettero in collegio. Come orfano di guerra Fabrizio ha lavorato una vita in Regione.
«Mio babbo - ha ricordato commosso il figlio più piccolo, Giacomo - aveva un carattere forte. Ribelle e libertino, era estroverso. Gli è sempre mancata la figura della madre e forse anche per questo a noi figli non ha mai fatto mancare l’affetto paterno. Per lui la famiglia era tutto. Nonostante la sua durezza, c’è sempre stato, non ci ha mai fatto mancare niente, sia da un punto di vista economico che di affetto e di insegnamento. Lui non aveva una grande istruzione, per esempio, eppure mi è sempre stato accanto nella scuola e quando ho avuto bisogno mmi ha sempre trovato le persone giuste a cui affidarmi per farmi progredire negli studi. Era la mia guida, ci parlavo di tutto. Quando avevo bisogno ricordo grandi chiacchierate nel salotto di casa dei miei in cui arrivavo e chiedevo consiglio a mio babbo su tutto».Grande giocatore, Fabrizio amava anche il gioco d’azzardo, ma grazie alla sua forza lo ha sempre assecondato appunto come passione senza mai lasciarsi condannare da questo.
«Amava il poker - ha ricordato il figlio - ma anche il biliardo. A Firenze lo conoscevano tutti per questo e fino a quando ha potuto ha seguito la sua passione per il gioco andando a giocare a carte al circolino di Lastra».
Altra sua grande passione è stato il pugilato, trasmesso da suo padre quando insieme seguivano anche il grande Sandro Mazzinghi in tutto il mondo.
«Mio padre a differenza del nonno - ha sottolineato Giacomo con un sorriso - ha anche provato a praticarlo. Ci ha rinunciato quando Aresti gliele “suonò” di santa ragione sul ring e da allora disse basta, ma lo masticava sempre, era una grande passione. Un “omino” minuto era mio padre, sembrava tanto fragile ma invece era molto forte».
Fin da giovane aveva dovuto combattere contro tanto male e dolore: prima due epatiti prese da militare, poi una trasfusione di sangue infetto e un angioma alla testa a 45 anni e una trombosi all’occhio negli ultimi anni. Tre anni fa un arresto cardio-respiratorio mentre era al circolo alla Lastra sembrava lo avrebbe portato via e invece era riuscito anche a sopravvivere a quello.
Lunedì scorso però ha dovuto cedere al male che lo attanagliava ormai da tempo, lasciando così non solo i suoi figli ma anche i quattro nipoti.