Il dottor Gino Giusti in pensione

Il dottor Gino Giusti in pensione
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Un anno fa BISENZIOSETTE pubblicava l'intervista al mitico dottor Gino Giusti, medico dei poggesi che salutava così tutti i suoi pazienti e andava in pensione.

Il dottor Giusti in pensione

Come ci si sente il primo giorno in pensione? Si pensa di più a ciò che si lascia oppure a ciò che occuperà il nostro tempo da oggi in poi? Ad incontrare nella propria casa Gino Giusti, “Il” dottore di Poggio a Caiano, nella sua prima mattina da pensionato, la prima parola che viene in mente è equilibrio. E’ appena finita una carriera legata certamente a Poggio, ma anche a Carmignano, iniziata quarant’anni fa.

«Conoscevo la zona – ha esordito il dottor Giusti -. Mia moglie è la figlia dello storico dottor Nencioni di Carmignano. Nel 1978 avevo finito la condotta medica ed iniziai qui, prima come ufficiale sanitario e poi come medico generale, due ruoli che ho sempre portato avanti insieme. Inizialmente la condotta era divisa per ciascun Comune per assicurare terapie e cure agli assistiti. Con la trasformazione si arrivò alle prime convenzioni legate alle professioni, fatte per artigiani, commercianti, insegnanti e così via, fino al Servizio Sanitario Nazionale. Io diventai funzionario medico a Poggio il 1° aprile del 1979 e poi lo feci anche a Carmignano a partire sempre dagli anni ’80 fino al 30 dicembre 2015. Il medico di base, invece, l’ho fatto solo a Poggio a Caiano dal 1979 a ieri. Ho amato questo territorio, che è stato la mia seconda famiglia, la mia seconda patria. Sono nato a Firenze ma ho abitato più tempo qui che nella mia città nativa. Anche se il rapporto fra le persone è cambiato col tempo, ho fatto il mio lavoro sempre con grande affetto ed ora ho visto che questo affetto è ricambiato».

In che modo è cambiato il rapporto dal suo punto di vista?

«Mia figlia dice che la mia è una visione da settantenne e io le rispondo che avere i capelli bianchi serve a qualcosa. Nel passato il rapporto umano era centrale. Ci si rivolgeva al proprio medico per qualsiasi cosa. Oggi, purtroppo dico io, la società si è evoluta verso una spersonalizzazione. Siamo diventati sempre più un numero».

Qual è stata la cosa più bella in tutto questo tempo?

«I figli. Quelle persone che in questi giorni mi hanno detto “noi non s’è conosciuto altro che Lei. Da chi si va adesso?”, quelle persone che mi hanno ringraziato per le cure date ai loro genitori che non ci sono più. Alcune lettere ricevute mi hanno davvero commosso. E’ stato un grande impegno ma adesso c’è una grande gratificazione. Questo per me è un piacere immenso, che mi ha radicato nell’idea che il mio modo di vedere il rapporto medico-paziente era quello giusto. Il medico non è solo una persona che ti dà una ricetta o che ti manda da uno specialista. Il medico prima aveva una grande responsabilità in prima persona. Quando qualcuno si falciava e arrivava da me, mi diceva di mettere i punti e di farlo veloce».

E adesso cosa farà?

«Ho tante passioni. Amo la musica, il restauro, la costruzione di navi. Il modellismo statico antico, cioè quello che va dal 1500 al 1700, legato ai cosiddetti vascelli, è una mia passione sin da piccolo, sin dall’età di 14 anni. Inoltre, restauro oggetti antichi, soprattutto ventagli. Continuerò il mio impegno col Lions per le “Giornate della Salute”, con visite gratuite e analisi su appuntamento, sia a Poggio che a Carmignano. La prossima sarà domenica 15 aprile alla Misericordia di Poggio. Mi piacerebbe, poi, dare un indirizzo qui ed avvicinare la popolazione alle medicine complementari. Ho preso un diploma in agopuntura alla Scuola del dottor Cracolici, che è la seconda in Italia. L’impostazione della medicina orientale viene da altri stili di vita e di alimentazione ed ha secoli di storia alle spalle. Se uno ha una tonsillite, deve prendere l’antibiotico, intendiamoci. Ma se uno ha problemi metabolici, si possono ottenere ottimi risultati senza costi farmaceutici con la medicina orientale, che è una disciplina olistica, globale, che non cura il ramo ma va alla radice del problema. Poi, come dire, si nasce, si vive e si muore lo stesso. Quello è il nostro destino ma trovare la via per arrivarci nel migliore dei modi dipende da noi».

Cosa le mancherà di più?

«Il rapporto quotidiano coi miei amici più che pazienti. C’è un gran vuoto oggi. Già essere abituati a ricevere circa 30 pazienti il giorno e vederne solo la metà negli ultimi non è stato facile… E’ arrivato quel momento che non dico tu lo aspetti ma che comunque sai che più o meno verrà ed è un momento che pesa. Pesa a me e pesa ai pazienti che avevo da anni. Ed è inevitabile. Ho passato una vita qui. Tutto ha un termine e io cercherò di fare il possibile per continuare ad avere un rapporto con queste persone, con chi vorrà chiedermi un consiglio. Non sarà la stessa cosa ma questo per me è fonte di vita. Sono nato medico, ho sempre fatto il medico e l’ho sempre fatto con grande passione. Viste le manifestazioni di gratitudine che mi stanno arrivando posso dire che ho fatto bene. Ho realizzato una vocazione, non religiosa ma filosofica. Ho un modo di inquadrare la vita diverso, certamente soggetto a errori, ma mi sento vicino ad essere in equilibro con le mie energie interiori sia positive che negative».

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