Scarpe da sogno: i fratelli Ortigni vestono i divi
Un’arte che proviene dal passato nella zona del Poggio alla Cavalla a Lamporecchio ma col passare degli anni sono rimaste scarpe da sogno. E’ così che i fratelli Ortigni vestono i divi: il racconto in un articolo pubblicato sul GIORNALE DI PISTOIA E DELLA VALDINIEVOLE
La storia, fin dalle origini
I fratelli Ortigni, Fabio, Stefano e Barbara, con dedizione e passione, proseguono ancora oggi, dopo tre generazioni, l’antico mestiere tramandato dalla loro famiglia. Nel 1991 nasce la ditta «Sutoris», il cui nome riprende il termine latino che significa calzolaio.
Dopo l’esperienza del nonno e successivamente del padre, i tre fratelli hanno deciso di continuare la strada dell’artigianato, dando maggior valore al prodotto, creando una scarpa di qualità superiore.
«Dagli anni ’30 la nostra famiglia si è dedicata interamente alle scarpe. La bottega del nonno era proprio qui a Poggio alla Cavalla -ha raccontato Fabio Ortigni uno dei fratelli e socio dell’azienda- nel cuore della campagna di Lamporecchio. Insieme ai suoi vicini di casa, impiegati come operai, tagliavano, foravano e cucivano il cuoio, proprio qui davanti all’attuale fabbrica.
D’estate avevano addirittura dei banchi di lavoro sull’esterno dove si sposavano per dare vita alle varie calzature. Inizialmente non esisteva un vero e proprio marchio. Mio nonno Paolo ha dato il via alla produzione prima della guerra, perciò lo stile di vita delle persone era diverso da quello di oggi, anche se all’epoca il valore per l’artigianato era sicuramente più apprezzato di oggi».
Nonostante i tempi che corrono, alcune tradizioni non perdono di valore in casa Ortigni, anzi, risuonano a tal punto da divenire un dettaglio di riconoscimento. Proprio come nelle antiche botteghe artigiane, i clienti hanno la possibilità di creare le proprie calzature, dal materiale, al colore, fino alla struttura stessa della suola.
La manualità esperta e la conoscenza delle numerose tecniche di lavorazione, sono gli elementi essenziali che esaltano la qualità delle loro calzature.
Nonostante questo sentimento di attaccamento alle tradizioni, non avete mai pensato di ingrandire l’azienda con uno sguardo al futuro?
«Da più o meno venticinque anni ci siamo tirati su le maniche e abbiamo deciso di dare un tocco diverso alla ditta e senza presunzione ci riteniamo soddisfatti del lavoro, ma soprattutto della crescita riscontrata negli ultimi anni. Ci sono stati momenti di crollo del mercato calzaturiero che hanno influenzato il lavoro manuale, ma quando la situazione si è stabilizzata in altri ambiti non abbiamo mai avuto ulteriori crolli. Siamo conosciuti e sicuramente possiamo ritenerci uno dei pochi prodotti di tale portata nella zona. Ingrandire è una parola pericolosa, quanto allettante; ma quando ti rendi conto di non avere i mezzi necessari per puntare sulla quantità, devi dar maggior valore alla qualità del prodotto: è il nostro punto forte».
Con Pitti avete allargato il campo verso nomi di grande portata è stata un’importante vetrina per l’azienda?
«Sicuramente, ci ha dato la possibilità di uscire dal territorio ed arrivare a molti nomi importanti. Dal 2005 ad oggi abbiamo avuto un incremento di visitatori notevole. Pitti è un evento di fama internazionale, inutile sottolinearne l’importanza che può avere allestire uno stand in tale manifestazione. Spesso capita tutto per passa parola. Vedere le nostre calzature indosso a personaggi come Giancarlo Antognoni, Giuseppe Bergomi, Enzo Miccio, o gli Chef Bruno Barbieri e Antonino Cannavacciulo, ci rende orgogliosi e onorati di poter portare il nome Ortigni così in alto. Negli ultimi anni ci siamo collocati nei migliori negozi di abbigliamento: abbiamo iniziato con il Barghini a Pistoia, a metà degli anni novanta, per poi collaborare con ambienti dedicati prettamente ad ambiti cerimoniali, fino ad oggi dove ci troviamo esposti in negozi di livello come Bonvicini a Montecatini Terme, Fagni a Pistoia o Divo a Santa Maria a Monte. Con l’ingrandirsi dei brand e la scelta di proporre un total look da parte delle grandi firme, i negozi di sole scarpe non esistono più. Da anni ci siamo quindi inseriti nell’abbigliamento per regalare al cliente la possibilità di arricchire il proprio outfit con l’abbinamento della scarpa».
Avete mai pensato di aprire un vero e proprio negozio di scarpe per un’eventuale vendita diretta visti i consensi da parte dei clienti e la notevole richiesta della personalizzazione del prodotto?
Uno show room tutto per il marchio
«Ho proposto spesso alla mia famiglia l’idea di un ambiente tutto nostro dove poter vendere direttamente, oltre che produrre. Il modo di acquistare delle persone è diverso, si punta al centro commerciale, al negozio dove riuscire a trovare sia il completo che la scarpa da abbinare: la comodità è il termine guida dello shopping di oggi, perciò è un azzardo puntare ad un eventuale punto vendita. Senza contare il fatto che la location ha una sua valenza; Lamporecchio per quanto possa essere la nostra casa, ha un raggio d’azione limitato. Potrebbe essere un’occasione, ma da valutare in altre zone.”
Ortigni è conosciuto in tutta Italia, oltre che notevolmente stimato nella zona, ma all’estero quanto è noto il vostro marchio?
«Sicuramente il nucleo del mercato è in Italia, fortunatamente viene dato ancora valore al prodotto artigianale nel nostro paese, e puntiamo molto sul lavoro nel territorio. Basti pensare alla collaborazione quasi totale con le pelli nelle zone di Sanra Croce, inutile andare altrove quanto troviamo la migliore produzione di materia prima vicino casa. Certo che l’espansione è sempre ben accetta, anche se come ho sottolineato non tendiamo molto al numero, quanto al prodotto di qualità, quindi guardare all’estero significherebbe produrre in quantità raddoppiate, se non triplicate. Lavoriamo molto con l’Olanda, ma anche con Germania, Norvegia e Svizzera. Siamo appena tornati da un viaggio molto importante a New York. Io e mio nipote Andrea, primo della quarta generazione. Abbiamo deciso di intraprendere quest’avventura oltre oceano per ampliare i nostri orizzonti e magari mettere le basi per un futuro. In tal caso le cose potrebbero cambiare, chissà. Sono idee che potrebbero concretizzarsi, ma per il momento la nostra filosofia rimane solida».