L'ultimo erede dei Medici chiede la rendita vitalizia, ma il giudice dice di no
L'uomo condannato dal Tribunale a pagare anche le spese legali: 34mila euro
Tutto ha avuto inizio quando l’ultimo erede della famiglia dei Medici, ovvero il “primogenito dell’agnate maschio secolare” della casata, ha fatto causa allo Stato italiano, tirando dentro anche il ministero della Cultura e la presidenza del Consiglio dei Ministri.
Riteneva di “avere diritto alla rendita annua vitalizia complessiva di 1500 luoghi del Monte del Sale o del Redimibile della città di Firenze”, una sorta di Monte di Pietà, “lasciati appunto ai discendenti maschi della famiglia dei Medici da sua altezza reale Anna Maria Luisa de’ Medici, Elettrice Palatina”. Ma il Tribunale gli ha dato torto.
La richiesta della maxi-rendita vitalizia
In quanto discendente, l'uomo ha rivendicato la propria posizione, “ritenendo che il patrimonio artistico fiorentino, di cui fa parte anche la rendita citata” deve essere “preservato nell’interesse collettivo”. Ha chiesto così che l’atto venga considerato “base giuridica per la salvaguardia del patrimonio artistico fiorentino e per la protezione delle ricchezza della città”. Conto totale: la “rendita annua vitalizia” di 84 milioni euro avrebbe dovuta essere elargita “a decorrere dal 1998”.
La respinta della richiesta dei giudici
Peccato che sia il giudice di pace, sia il giudice di primo grado, sia i magistrati della corte di Appello di Firenze abbiano respinto il ricorso dell’erede dal sangue blu. Riconosciuto il ramo discendente cadetto dell’uomo, ciò che viene contestato è la valenza di trattato internazionale dell’atto, considerato invece mero testamento perché privo “dei requisiti tipici” e della “formalità per la validità”.
Annunciato il ricorso in Cassazione
Il primo giudice lo ha anche condannato per “mala fede” al risarcimento di oltre 15mila euro, revocato invece nella sentenza pubblicata nelle ultime ore. Nella quale però, oltre alla conferma della decisione,
Finito? Assolutamente no. I legali prometto ricorso in Cassazione.