Sesto Fiorentino

Lotta allo sfruttamento lavorativo, l’allarme nella Piana e il progetto Soleil

Nel territorio nel settore moda-pelletteria non mancano i casi: turni insostenibili, mancanza di diritti e tutele, salari differenziati in base alla nazionalità (anche paghe di 3 euro l’ora), fabbriche-alloggi con spazi disumani (anche 20 aziende in un capannone), ricattabilità dovuta alla condizione di straniero.

Lotta allo sfruttamento lavorativo, l’allarme nella Piana e il progetto Soleil
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Lotta allo sfruttamento lavorativo, l’allarme nella Piana e il progetto Soleil

Ach, che protestava perché gli era stato ridotto senza ragione il salario, è stato aggredito dal proprietario dell’azienda con un bastone. In un’azienda di Scandicci il caporale ha minacciato Ibra puntandogli una pistola al petto perché aveva “parlato”, raccontando le condizioni di sfruttamento a cui era sottoposto durante un audit richiesto dal committente. Un altro lavoratore straniero invece, dopo aver denunciato coi suoi colleghi lo sfruttamento in una pelletteria, ha di conseguenza perso l’alloggio e si è trovato a dormire a Prato letteralmente sotto il ponte sul Bisenzio.
Ma ci sono anche storie a lieto fine.

Rashed, bengalese, si è ribellato alle condizioni di lavoro in una pelletteria di Campi Bisenzio e il titolare lo ha cacciato di casa. Ma poi, grazie alla sua denuncia e all’impegno della Cgil, è stato ricollocato in un’altra pelletteria del territorio, con un contratto a tempo indeterminato, e ha anche trovato anche un alloggio. Diop (senegalese) e Waqar (pachistano) hanno denunciato all’Ispettorato le proprie condizioni di sfruttamento lavorativo, le aziende sono state sanzionate e nella vertenza sindacale i due hanno recuperato spettanze. Ora il primo lavora in una grande pelletteria, il secondo in una sartoria (la Cgil, dopo la denuncia, lo ha aiutato anche per l’alloggio e per l’ottenimento dei permessi di soggiorno).

Sono solo alcune delle vicende di sfruttamento lavorativo nella filiera produttiva di moda e pelletteria (settore peraltro in grande salute) nella Piana Fiorentina, vicende che negli 4 ultimi anni la Filctem Cgil e la Cgil hanno gestito in decine di casi. In alcune fabbriche si lavora 12/13 ore al giorno, per 6/7 giorni alla settimana, senza diritti né tutele, con salari differenziati in base alla nazionalità, ambienti affollati e inadeguati, operai ospitati dal padrone che – se protestano – li caccia sia dal lavoro che dall’alloggio).

“Per incentivare la denuncia di chi subisce lo sfruttamento lavorativo è necessario dare sostegno al lavoratore e fornirgli un percorso di tutela che vada oltre la vertenza di lavoro – è la posizione della Cgil e della Filctem Cgil -. Serve una presa in carico a tutto tondo, a livello sociale, sanitario, abitativo e lavorativo, e occorrono strumenti per abbattere le fragilità sociali che attanagliano questi lavoratori; per questo motivo dobbiamo lavorare in rete con le istituzioni, con gli organi di controllo e con chi ha competenze nel campo dell’immigrazione e della marginalità sociale”.

E’ quello già accaduto in alcuni casi gestiti dalla Cgil (emblematica fu la vertenza Bagnolo, la ditta di pronto moda di Calenzano dove 4 anni fa i lavoratori asiatici e africani si ribellarono alle condizioni di lavoro con un presidio permanente di 7 giorni) ed è quello che si propone di fare in maniera strutturata il progetto Soleil (Servizi di orientamento al lavoro ed empowerment interregionale legale). Il progetto, figlio di un bando ministeriale, vede la Regione Toscana in partenariato con le Regioni Lazio, Abruzzo, Marche e Molise, e a livello toscano in rete con soggetti pubblici e privati (tra cui la Cgil e L’Altro Diritto).

Il progetto è stato presentato stamani alla Biblioteca Ragionieri di Sesto Fiorentino ad una iniziativa organizzata dal sindacato (sono intervenuti: Elena Aiazzi della segreteria Cgil Firenze, il sindaco di Sesto Fiorentino Lorenzo Falchi, Emilio Santoro de L’Altro Diritto, Alessandro Picchioni e Massimo Bollini di Filctem Cgil Firenze, Giuditta Giunti di Anci Toscana, l’assessora regionale Alessandra Nardini, Rosanna Saponara dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro di Firenze, Gessica Beneforti della segreteria Cgil Toscana, Stefano Zecchi di Confindustria Firenze Moda, oltre agli operai Diop e Waqar).

Ovviamente il progetto Soleil non interesserà solo il settore moda-pelletteria ma anche logistica, agricoltura e tutti gli altri ove si verifichino episodi di sfruttamento.

“E’ un bene l’imminente partenza del progetto Soleil, una importante coprogettazione nel quale riconosciamo tutti gli strumenti necessari per rafforzare la lotta allo sfruttamento: presa in carico dei problemi di alloggio, permessi di soggiorno, formazione professionale, ricollocazione al lavoro, colpendo il lavoro illegale e istituendo una rete di opportunità per chi ne vuole uscire – hanno detto la Cgil e la Filctem Cgil -. Dobbiamo opporci con tutte le nostre forze al fenomeno dello sfruttamento lavorativo perché non è accettabile che nelle nostre città e vicino alle nostre case ci sia la presenza di questa forma moderna di schiavitù”.

IL FOCUS SULLO SFRUTTAMENTO LAVORATIVO NELLA PELLETTERIA FIORENTINA
(a cura di Alessandro Picchioni di Filctem Cgil Firenze)

Lo sfruttamento lavorativo è presente, nelle sue forme più gravi, soprattutto nel comparto della moda, in Toscana un settore trainante dell’economia, dove si investe e ci sono produzioni e lavoro di qualità.

Storicamente nel territorio fiorentino si rileva la presenza di aziende di tutti i settori del comparto moda: tessile/abbigliamento, calzaturiero, accessori, con una spiccata prevalenza della pelletteria di alta gamma. Negli ultimi anni si è aperta una sorta di età dell’oro per l’industria della pelletteria. Tuttavia, nonostante il crescente fabbisogno di nuovi addetti e la presenza nel territorio di lavoratori immigrati, ancora oggi i lavoratori stranieri sono poco presenti nelle aziende del lusso, fatta eccezione per coloro che arrivano da paesi comunitari.

Questo, a causa soprattutto dell’inadeguatezza del quadro normativo che regola l’immigrazione, dove non si hanno risorse sufficienti per occuparsi dell’integrazione sociale. Ciò è un grande vantaggio per le aziende che offrono lavoro irregolare, soprattutto aziende a capitale cinese, che in questo modo gestiscono una quota considerevole della forza lavoro.
Attirate dal crescente business della pelletteria, c’è stato infatti un cospicuo aumento della presenza delle aziende a capitale cinese: ormai sono diverse centinaia soltanto nel territorio della città metropolitana; non tutte le aziende cinesi sono irregolari, anzi ce ne sono molte che lavorano rispettando la legge e quindi non sarebbe corretto generalizzare, però si può affermare che certamente sono quelle dove con più probabilità si verifica il fenomeno dello sfruttamento lavorativo.
In alcune di queste aziende si lavora 12/13 ore al giorno, per 6/7 giorni alla settimana, senza periodi di ferie o pause per le festività, senza malattia retribuita e altri diritti, quindi con orari di lavoro superiori alle 70 ore settimanali e 320 ore al mese.
Il salario è deciso unilateralmente dal padrone e differenziato nell’importo soprattutto su base etnica: i più pagati sono i lavoratori cinesi, seguiti dai lavoratori provenienti dal subcontinente indiano e infine i lavoratori provenienti dall’Africa subsahariana, che in molti casi lavorano per meno di 3 euro l’ora.
Ovviamente queste condizioni di vita disumane vengono sopportate a causa del forte stato di bisogno di questi lavoratori. Oltre al problema salariale, a segnare la vita di queste persone è la mancanza cronica di riposo per le condizioni di lavoro imposte, senza contare il fatto che devono spostarsi in zone molto periferiche per trovare un alloggio; infatti spesso i proprietari degli immobili non affittano a lavoratori immigrati, neanche in presenza di un reddito stabile, ma anche per il costo alto dei canoni, e sono molti coloro che devono percorrere decine di chilometri per spostarsi in zone sempre più periferiche, utilizzando mezzi pubblici. Quindi, per recarsi al lavoro, si svegliano poco dopo le 5 di mattina e tornano al proprio alloggio non prima delle 22. Tutto questo senza alcun periodo di riposo continuativo durante tutto l’anno, al massimo 3 o 4 giorni nel mese di agosto e dicembre.

Inoltre, gli ambienti di lavoro sono spesso inadeguati, caotici, disorganizzati e parcellizzati. Nei casi più estremi, all’interno di un unico capannone possono coesistere oltre 20 aziende con 3 o 5 addetti, fino ad arrivare a un massimo di 20 addetti ciascuna; questo agevola uno scambio illecito di manodopera tra le varie aziende che condividono lo stesso ambiente di lavoro.
I lavoratori più precari sono quelli ospitati in alloggi di proprietà del datore di lavoro, spesso case fatiscenti e comunque in condizioni di convivenza difficili; in un unico appartamento possono risiedere anche 9 persone: se sei “ospitato” in una casa del padrone, in caso si interrompa il rapporto di lavoro, subisci un doppio ricatto, e perdi contemporaneamente il reddito e l’alloggio. Per questi lavoratori è quindi particolarmente difficile denunciare le condizioni di sfruttamento: ti possono sfuggire in un colpo solo il lavoro, la casa, il cibo, la possibilità di sostenere la famiglia. Inoltre, spesso, in seguito alla denuncia e alle relative ispezioni, può capitare la chiusura aziendale e quindi la perdita del lavoro da parte di tutti i lavoratori occupati, con possibili ritorsioni degli stessi verso il denunciante che subisce un’ulteriore ritorsione nel caso i colleghi siano immigrati dalla stessa nazione. Col risultato di perdere la rete sociale dei connazionali. In certi casi le condizioni di lavoro imposte arrivano a fenomeni di vero e proprio caporalato.
Nell’arco degli ultimi 4 anni sono state diverse decine le vertenze per sfruttamento lavorativo portate avanti dalla Filctem Cgil Firenze, e sempre in numero crescente di anno in anno. L’esperienza ha fatto capire che per incentivare la denuncia di chi subisce lo sfruttamento lavorativo è necessario dare sostegno a chi sporge denuncia, e fornirgli un percorso di tutela che vada oltre la vertenza di lavoro. Serve una presa in carico a tutto tondo e occorrono strumenti per abbattere le fragilità sociali che attanagliano questi lavoratori, per questo motivo occorre lavorare in rete con le istituzioni, con gli organi di controllo e con chi ha competenze nel campo dell’immigrazione e della marginalità sociale.

Negli anni la Cgil ha sviluppato rapporti di collaborazione con le associazioni del territorio operanti sul settore delle marginalità. Altrettanto fondamentale è stata la collaborazione con alcune aziende del settore della moda, che si sono dimostrate particolarmente sensibili al tema della legalità della filiera, grazie alle quali è stato possibile ricollocare alcuni lavoratori rimasti senza occupazione in seguito alla denuncia delle proprie condizioni di sfruttamento. Ciò è avvenuto grazie ad un modello solido di relazioni industriali che è stato d’ispirazione per la realizzazione dell’Avviso comune siglato nell’autunno del 2021 tra organizzazioni sindacali di settore e Confindustria Moda Firenze, un accordo innovativo che consolida la collaborazione tra sindacato e imprese per la lotta allo sfruttamento lavorativo.

 

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