Da eroe a mostro: la storia di Roberto
Un anno fa, quando uscì questa intervista su BISENZIOSETTE era appena arrivata la notizia che il titolare dell’impianto, Roberto Cipriani, 52 anni, di Montale, era stato iscritto nel registro degli indagati nell’inchiesta sulla morte di Lorenzo Betti avvenuta all’interno del centro sportivo il 12 aprile del 2016.
Un anno fa su BISENZIOSETTE usciva l'intervista a Roberto Cipriani, titolare del centro sportivo "Carbonizzo" a Montemurlo che si sfogava così: "Da eroe sono diventato un mostro".
Da eroe a mostro
Si trova tra Fornacelle e Morecci, in un luogo bellissimo, incontaminato, dove pace e silenzio regnano sovrani alle spalle del Monferrato.
Il centro sportivo Il Carbonizzo, tornato alla ribalta delle cronache locali nei giorni scorsi, si trova in una delle zone più belle del territorio montemurlese.
Un anno fa, quando uscì questa intervista su BISENZIOSETTE era appena arrivata la notizia che il titolare dell’impianto, Roberto Cipriani, 52 anni, di Montale, era stato iscritto nel registro degli indagati nell’inchiesta sulla morte di Lorenzo Betti avvenuta all’interno del centro sportivo il 12 aprile del 2016.
«Un colpo al cuore tutte le volte che il mio nome e quello del centro sportivo torna alla ribalta delle cronache locali. Successe due anni fa e adesso siamo tornati sul giornale nuovamente», racconta Cipriani.
Ma il centro sportivo non può essere rilegato solo a questo terribile fatto di cronaca che comunque è rimasta o per sempre rimarrà nel cuore di chi vi ha assistito.
«Conoscevo Lorenzo e quindi per me il dolore è stato ancora maggiore. Sono intervenuto io con il defibrillatore e ho cercato di fare il possibile. La procedura era corretta, ho fatto di tutto per salvargli la vita. Me lo hanno detto anche i medici del 118 intervenuti. Per mesi interi dopo quello che successo ho avuto incubi la notte».
Ma è andato avanti anche grazie all’appoggio e al sostegno di tante persone che gli sono state vicine, a lui e al centro sportivo stesso con messaggi di solidarietà e non solo.
Perché il centro sportivo Il Carbonizzo a Montemurlo è da sempre considerato un vero e proprio fiore all’occhiello.
Il nome è indicativo di cosa c’era prima: un vero e proprio carbonizzo ai piedi del Monferrato.
La struttura del centro sportivo nasce su quello che era prima il rimessaggio e magazzino del carbonizzo stesso.
Prima della realizzazione del centro sportivo qui si trovava una vera e propria discarica a cielo aperto dove si trovavano materiali inquinanti di vario tipo, compreso l’amianto. Un luogo di degrado e spaccio.
Poi la famiglia Cipriani lo ha bonificato prima di costruirci sopra il centro sportivo che vi si trova oggi.
«All’epoca la mia famiglia aveva acquistato diversi appezzamenti di terra. Mio padre aveva realizzato già delle residenze, ma su questo terreno la concessione che venne data dal Comune era per uso sportivo e non abitativo. Fu così che si pensò di creare questo centro. Io ai tempi lavoravo per la Becagli di Montemurlo, o meglio per la Tessile Fiorentina che appartiene appunto ai Becagli. Dirigevo bene o male i lavori e organizzavo tutto. Avevo una marea di cellulari, uno stress continuo e un giorno mi prese un mezzo infarto. Visto che mio padre aveva in progetto di realizzare questo impianto io e mio fratello insieme decidemmo di prenderlo in gestione».
I lavori iniziarono nel 2005
«Il centro sportivo fu inaugurato a marzo del 2006. Fu una vera e propria scommessa per noi. Non avevo esperienza lavorativa in questo settore. L’unica cosa che un po’ mi poteva aiutare era il fatto che ho sempre giocato a calcetto e quindi in quel senso ero un po’ dentro questo mondo. Ci siamo buttati in picchiata in questa avventura. All’inizio non è stato facile. Soprattutto perché questa era una zona in cui i residenti magari erano abituati alla totale tranquillità almeno dal punto di vista sonoro. Nel senso che con il nostro arrivo sono aumentate le auto, moto, i ragazzi che fino all’una e mezza di notte rimangono a divertirsi. Però dall’altra parte le persone che vivono qui erano anche contente perché così abbiamo eliminato un grosso problema di degrado di questa zona che ormai era diventata degli spacciatori del territorio. Da quel giorno siamo diventati come una sorta di sorveglianza speciale: è ovvio che dove c’è un’attività, anche se si tratta di un circolo per soci, spacciatori, drogati ed emarginati non vengono».
In tutto oggi sono sei le persone che lavorano all’interno del centro sportivo Il Carbonizzo, gestito a livello familiare da Roberto, moglie, figlio, nipote e due dipendenti.
Niente slot machine
«Fin dalla sua nascita questo centro ha sempre avuto un unico grande obiettivo: diventare il punto di ritrovo per il mondo sportivo amatoriale. Come mai abbiamo puntato sullo sport amatoriale è presto detto. Noi volevamo che qui si instaurasse una sorta di “terzo tempo” che le persone venissero qui per divertirsi, stare insieme, uscire un po’ di casa, distrarsi. Questo succede solo nel mondo amatoriale. Le persone dopo la partita qui fanno il vero “terzo tempo”, una pizza in compagnia, una bevuta, due risate e poi tutti a casa. Per esempio noi qui dentro non abbiamo mai voluto le slot machine. Ecco quello è un mondo che proprio non ci appartiene».
Un vero e proprio centro ricreativo quindi non solo sportivo, dove alla base ci fossero quei valori legati al mondo dello sport sano.
Qui si trovano tre campi da calcetto regolamentati e certificati dalla Figc ed è uno dei pochi centri dove si trovano anche tornei amatoriali di calcetto al femminile.
I campi sono coperti solo sei mesi l’anno e questo perché essendo alla base del Monferrato, il centro deve rispettare certi vincoli paesaggistici.
«Siamo contenti di questo perché ci piace stare qui. L’ambiente è bellissimo e tutto quello che guadagniamo al centro lo reinvestiamo nella struttura stessa. Per esempio nelle prossime settimane installiamo la nuova illuminazione al led proprio per dare un segnale in più di rispetto dell’ambiente a cui noi teniamo tantissimo», spiega Cipriani.
Un’altra cosa a cui si tiene particolarmente in questo centro sportivo è la sicurezza.
«Noi qui abbiamo inserito il defibrillatore in campo due anni prima che per legge diventasse obbligatorio. io e mio figlio abbiamo fatto i corsi necessari e ogni poco seguiamo aggiornamenti per noi e per il defibrillatore spesso. Per questo quello che è successo mi ha scosso ancora di più. Pochi mesi prima che succedesse quello che è successo qui io ero in un campo dove un ragazzo si sentì male e quella volta con il massaggio cardiaco riuscii a salvargli la vita: in pochi mesi sono passato da eroe a mostro. So che essere iscritto nel registro degli indagati in questo caso è un atto dovuto perché sono il titolare del centro, ma io non mi recrimino niente. Si è vero, mi sono molto amareggiato a leggere e sentire certe cose, ma la voglia di andare avanti c’è sempre stata. Il dolore poi, soprattutto per la vita spezzata, si tiene dentro. Sono contento però della tanta solidarietà che ho ricevuto, allora e oggi, da chi frequenta il Carbonizzo».