Memorie di una bambina sotto le bombe. Una coperta all'uncinetto, il bambolotto di celluloide e l'odore acre delle bombe. Rosanna Tacci e la Liberazione
“Si può perdonare ma non dimenticare, quelle mani sporche e viscide, che mi sento ancora addosso, le ho portate dentro di me e le porterò per la vita che mi resta”
Spezzare la linea del tempo, l’arco di una parabola lunga quasi ottant’anni, per celebrare e condividere la Liberazione dall'occupazione nazista e dal regime fascista.
Rosanna Tacci che oggi ha 88 anni scelse di stare dalla parte del padre, Dante Tacci, uno dei più incisivi protagonisti dell’antifascismo italiano che, coerentemente con i propri ideali e il sistema di valori in cui credette per tutta la vita, si oppose alla dittatura con i principi e le azioni di uomo integro e incorruttibile arrivando a rifiutare la grazia concessa dal Duce.
Una coperta all'uncinetto improvvisata come fagottino in una mano, il bambolotto di celluloide nell'altra e l'odore acre delle bombe. Ha lasciato così, Rosanna Tacci, la propria casa, scappando da San Casciano quando iniziarono i bombardamenti sul territorio. Ce lo aveva raccontato tempo fa.
Figlia di Dante, un sancascianese che di professione faceva il calzolaio, torturato, carcerato, condannato, perseguitato dal regime perché considerato un sovversivo, Rosanna squarcia ancora una volta il silenzio, come ha fatto da anni recandosi nelle scuole, nelle biblioteche e nelle piazze per raccontare a pubblici di ogni età la sua storia, un percorso segnato e brutalmente irrorato di ingiustizie, torture morali e fisiche subite, di diritti negati.
"A me il fascismo ha rubato l'infanzia"
"A me il fascismo - ammette l’ex maestra elementare - ha rubato l'infanzia. Sia perché mio babbo Dante era nel comitato di liberazione e quindi un perseguitato politico, condannato dal tribunale speciale del regime, sia perché dovetti crescere troppo presto". Ha i ricordi ben distesi Tacci e ha ancora davanti agli occhi quelle bombe che sfilavano sopra la testa di una bambina di pochi anni.
"Il babbo, quando seppe che San Casciano, era stata minata e che potevano far esplodere le bombe in una eventuale avanzata dei neozelandesi, ci portò via verso Petriolo. Di fatti, ci trovammo in mezzo ai due fronti: da una parte i tedeschi e dall'altra i neozelandesi, subendo la guerra più tremenda".
Bombe che cadevano un po' ovunque, dal pagliaio al tetto.
"Addirittura una cadde in terra, batté di punta sul pavimento e rimbalzò sul letto. E lì si adagiò. In quell'inferno non respiravamo più dalla polvere da sparo, i tuoni, il rimbombo dei colpi lanciati dai cannoni e le esplosioni. I tedeschi fecero poi bombardare tutte le vie principali di San Casciano e da dove eravamo vidi implodere su stesso l'acquedotto».
Quando i neozelandesi riuscirono ad avanzare si cercò di andare il più vicino a dove si erano stabiliti gli alleati.
"Vidi il bombardamento e poi vidi San Casciano che non c'era più. Era un cumulo di macerie dove non c'erano più case e dove non era rimasto niente. Ed un silenzio assordante. Un silenzio come la morte. Della mia casa in via Roma era rimasta solo la facciata. Ho pianto allora e piango tuttora quando ricordo quel disastro".
I ricordi e la Liberazione in un film
E oggi, davanti all’obiettivo delle telecamere, Rosanna continua a rivelarsi. La regista sancascianese Carolina Mancini ha realizzato per l’Anpi sezione XXV luglio un film sulla vita resiliente della testimone, una delle ultime rimaste sul territorio nazionale, e sul rapporto di amore, rispetto, stima che la legava al padre. Il prodotto cinematografico, progetto culturale di ampio respiro realizzato con il contributo del Comune, “A casa nostra c’era la libertà, Rosanna e Dante Tacci” sarà proiettato venerdì 26 aprile alle ore 21 al Cinema Teatro Everest di San Casciano, alla presenza di Rosanna Tacci, Carolina Mancini, Paolo Marini Anpi Mercatale e del sindaco di San Casciano in Val di Pesa.
"Nel film racconto tutto il mio percorso – fa sapere Rosanna - e l’importanza che ha una storia personale, come la mia, inserita nel contesto della Storia con la S maiuscola, nel ricordo di ciò che è stato e della forza comunicativa e culturale che possiede la memoria in quanto tema universale che non bisogna mai smettere di promuovere e trasmettere alle nuove generazioni.
Non solo ho ripercorso quell’inalienabile sensazione di asfissia che percepivo da bambina infelice – continua -, ritenuta diversa, perché figlia di un antifascista, ma ho riaffermato l’orgoglio che gradualmente cresceva in me per un padre, roccaforte e patrimonio di valori, che non accettò la grazia di Mussolini in quanto pensava che accettarla sarebbe stato come ammettere di aver commesso una colpa".
I momenti più dolorosi Rosanna li rivive ogni volta con grande lucidità e commozione.
"All’assenza di libertà e al dolore dell’infanzia rubata – ricorda – si è aggiunta la pagina di una violenza inaudita, fisica e morale, di cui ancora porto i segni, ricordo che durante un colloquio con il babbo, rinchiuso nel Carcere delle Murate, nel ’44, nell’abbracciare il babbo per salutarlo uno dei secondini si mise ad urlare contro di me pensando che avessi un’arma nascosta e da quel momento iniziò la mia tortura.
Mi denudarono senza scrupoli e iniziarono a toccarmi mentre i miei genitori disperati imploravano i militari nazifascisti di fermarsi perché alla fine…io ero solo una bambina e non avevano il diritto di violare il mio corpo... così….
Si può perdonare ma non dimenticare, quelle mani sporche e viscide, che mi sento ancora addosso, le ho portate dentro di me e le porterò per la vita che mi resta".
Edlira Mamutaj