Il modello Piombino anche all’aeroporto di Peretola?
Ecco perché sarebbe riproponibile il percorso senza ostacoli del rigassificatore. Al momento mancano altri progetti, ma il governo ha predisposto un vero e proprio campo minato in fatto di diritti.
L'approfondimento uscito venerdì 26 agosto 2022 su Bisenziosette e il Giornale di Pistoia e della Valdinievole.
di Stefano Tamburini
Il modello Piombino anche all’aeroporto di Peretola?
Quella del rigassificatore di Piombino è una storia che non va guardata con distacco, anche in presenza del più ampio spirito di solidarietà per chi si oppone a un progetto devastante. Perché, se davvero il governo di Mario Draghi e il commissario Eugenio Giani dovessero riuscire a vincere questa partita, più avanti il rigassificatore potrebbe riemergere con altre sembianze ovunque ci sia da realizzare qualcosa di sgradito alle popolazioni che dovranno farci i conti.
Per ora non ci sono in agenda altri progetti in stile modello Piombino, ma il governo ha predisposto un vero e proprio campo minato in fatto di diritti che potrà essere sfruttato in futuro. Con un articolo del Decreto Aiuti bis, il numero 31, si potrebbe infatti aprire agevolmente la strada anche ad altre forzature, compresa quella per la realizzazione della seconda pista dell’aeroporto di Peretola.
Superando così le sacrosante e legittime proteste dei sindaci e delle popolazioni dell’Area Metropolitana, soprattutto quelle di Sesto e Campi.
Ed è proprio per questo che il rigassificatore non va visto come lontano dall’Area metropolitana di Firenze. Ai più distratti, quella di Piombino, anche se non lo è, potrebbe anche apparire come una battaglia di retroguardia, costretta a fronteggiare peraltro la sgraziata ma seguitissima propaganda della premiata ditta “Carlo Calenda & Matteo Renzi”. Perché prima di tutto è una storia di bugie fatte diventare realtà, come quella sparsa in tv dall’onorevole Maria Elena Boschi o dallo stesso ex presidente del Consiglio al Caffè della Versiliana lo scorso 11 agosto: «O pigli il rigassificatore a Piombino o batti i denti senza riscaldamenti». Nulla di vero, prima di tutto perché quella nave in porto semmai arriverebbe dopo l’inverno. E poi perché l’emergenza è artefatta, ci sarebbero i pozzi già attivi nell’Adriatico e sarebbero sufficienti a risolvere la prima eventuale carenza di flusso dalle condotte russe. E ci sarebbe la potenziale crescita, quasi esponenziale, delle fonti rinnovabili che non trova le stesse vie preferenziali del rigassificatore.
Ma a suon di bugie e storie raccontate male, si è persa di vista non solo la colossale forzatura del rigassificatore, già ampiamente trattata da questo giornale nell’edizione del 5 agosto. Si sono perse di vista la colossale prova generale di autoritarismo e le ricadute gradite soprattutto al Partito trasversale delle Grandi Opere, da sempre al servizio di interessi particolari a danno di quelli più
generali.
IL DECRETO CHE PERMETTE QUASI TUTTO
L’allarme nasce da una lettura attenta di quell’articolo 31 che definisce le “aree di interesse strategico nazionale”. Ecco la trascrizione testuale: “Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, anche su eventuale proposta del Ministero dello sviluppo economico, di altra amministrazione centrale o della regione (…) e previa individuazione dell’area geografica, possono essere istituite aree di interesse strategico nazionale per la realizzazione di piani o programmi comunque denominati che prevedano investimenti pubblici o privati anche cumulativamente pari a un importo non inferiore a euro 400.000.000,00 relativi ai settori di rilevanza strategica”.
Purtroppo è necessario dilungarsi un po’ nei meandri dei tecnicismi.
Fra i settori di “rilevanza strategica”, che nella prima versione del decreto non venivano definiti, non ci sono gli aeroporti o, più genericamente, i trasporti. Ma nulla vieterebbe a uno dei prossimi governi di emendare l’articolo e inserire altre tipologie. O modificare l’importo minimo dell’investimento, che inizialmente era fissato a 300 milioni ed è stato poi alzato a 400. Per ora i confini sono labili: “Ai predetti fini, sono di rilevanza strategica i settori relativi alle filiere della microelettronica e dei semiconduttori, delle batterie, del supercalcolo e calcolo ad alte prestazioni, della cybersicurezza, dell’internet delle cose (IoT), della manifattura a bassa emissione di Co2, dei veicoli connessi, autonomi e a basse emissioni, della sanità digitale e intelligente e dell’idrogeno, individuate dalla Commissione Europea come catene strategiche del valore”. Inoltre, come già accaduto a Piombino, precisa che “può essere nominato un Commissario unico delegato del Governo per lo sviluppo dell’area, l’approvazione di tutti i progetti pubblici e privati e la realizzazione delle opere pubbliche, specificandone i poteri. Il Commissario, ove strettamente indispensabile per garantire il rispetto del cronoprogramma del piano, provvede (…), mediante ordinanza motivata, in deroga a ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto dei principi generali dell’ordinamento, delle disposizioni del codice delle leggi antimafia
(…)”.
Come si vede, può bastare anche che sia una Regione a proporre il cosiddetto “interesse strategico”, l’opera può avere finanziamenti misti pubblico-privato e la base è di 400 milioni, lo stesso costo stimato per la pista di Peretola. Con un’eventuale emendamento ad hoc per allargare il campo ai trasporti, le basi per procedere ci sono già tutte. E, come si sta ben comprendendo con quanto accade a Piombino, il commissario ha i poteri per spazzar via ogni dissenso.
Varrebbe per Peretola e per qualsiasi altra operazione del genere in ogni parte del Paese. Ad esempio, per realizzare nuove centrali nucleari (qui dovrebbero superare lo sbarramento di due referendum ma con questo metodo tutto è possibile), depositi di scorie, maxi-discariche, inceneritori e quant’altro di peggio si possa immaginare.
Per un’eventuale utilizzo fiorentino del “decreto-Piombino” manca solo quell’emendamento, tutto il resto c’è già. E sarebbe semplice superare gli ostacoli rappresentati dalla Valutazione di impatto ambientale (Via) e dalla Valutazione di impatto strategica (Vas), che fino a oggi hanno in qualche modo fatto da diga al progetto, anche se non da soli.
LA PISTA NON SAREBBE CONVENIENTE, MA…
In realtà ci sarebbe un problema apparentemente insormontabile, quello della convenienza economica. Il collega Giorgio Meletti del Fatto Quotidiano ha spiegato che «la pista non verrà mai fatta, perché non ha nessun senso economico. Costerà 300 milioni, ma l’aeroporto di Firenze nell’ultimo anno prima del Covid ha fatturato una cinquantina di milioni. Anche se grazie alla nuova pista raddoppiassero traffico e affari, questo investimento porterebbe vantaggi economici in termini di utili se va bene di quattro o cinque milioni l’anno. Ci vorrebbero 70 anni a ripagare la pista».
Ipotizzando che quelle di Meletti siano stime al ribasso, anche raddoppiando la crescita degli utili, il tempo di rientro sarebbe comunque troppo lungo, oltre trent’anni. C’è un “però” che non viene tenuto in considerazione: quanti dei 300 milioni, nel frattempo diventati 400, sarebbero di provenienza dell’operatore privato?
Meno della metà, perché sarebbero sicuri 150 milioni di contributi pubblici e altri milioni verrebbero dalla partecipazione di Regione, Province e Comuni nell’azionariato di Toscana Aeroporti.
Nel frattempo, il vero affare (per pochi) non è stato nel piano di sviluppo della struttura, quanto nei soldi che sono usciti (oltre venti milioni di euro) per pagare studi di ingegneria di Firenze e dintorni per le evoluzioni del masterplan e varianti ai progetti. Altri milioni sono invece usciti per sostenere le spese legali per affrontare i ricorsi dei vari comitati anti-raddoppio. Dunque una gallina dalle uova d’oro che potrebbe continuare nella “cova” se le lobby fiorentine e il Partito trasversale delle Grandi Opere decidessero che val la pena proseguire, con la consueta accondiscendenza della Regione, che ha sempre seguito in modo “cartacarbonesco” i desideri di Toscana Aeroporti. Senza mai pensare a potenziare i collegamenti stradali (la vergogna della Fi-Pi-Li resterà tale per chissà quanto) e, soprattutto, ferroviari con l’aeroporto di Pisa, che è a meno di 70 chilometri e con una linea veloce potrebbe essere raggiunto in 20, 25 minuti. Basterebbe andare un po’ in giro per il mondo e rendersi conto di dove sono e quanto tempo serve per raggiungerli gli aeroporti delle grandi città. Uno scalo in piazza non ce l’ha nessuno, e non per caso. E dunque dovrebbe essere più che di buon senso conservare un semplice ma efficiente city airport per Firenze, sistemando quello che già c’è. Quindi senza manie di grandezza a danno delle popolazioni dell’Area metropolitana, che con la nuova pista si troverebbe fortemente penalizzata, a partire dal Parco della Piana fiorentina e dal Polo scientifico di Sesto. In questo modo si eviterebbe di sottrarre risorse pubbliche ad altri interventi necessari per i territori. E si potrebbe anche dire basta a balletti stucchevoli come quelli dei sette milioni di dividendi che Toscana Aeroporti ha distribuito agli azionisti dopo averne ottenuti dieci con finanziamenti straordinari dalla Regione.
LA LEZIONE CHE ARRIVA DA PIOMBINO
Quel che sta accadendo a Piombino deve far riflettere anche sulla reale solidità del ruolo di commissario. Il presidente della Regione, Eugenio Giani, in tale veste, è già stato messo pesantemente sotto schiaffo. La prima volta quando ha dichiarato di voler attendere il nuovo governo per dare il via e il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, gli ha “ricordato” che il termine perentorio per chiudere l’iter resta quello del 29 ottobre 2022. La seconda, ancor più grave, dopo che Giani ha solennemente dichiarato il 29 giugno scorso, nel corso della seduta di illustrazione del progetto in Consiglio regionale: «Non esiste nessuna indicazione che mi limiti rispetto alle cose che devo decidere! Non c’è la Valutazione nella legge sui commissari? Io voglio la doppia Valutazione di impatto ambientale!». Sì, certo, come no? Il 10 agosto, ancora Cingolani, ha trasmesso un documento alla Commissione europea che recita testualmente: «Si provvede a informare codesta Commissione Europea dell’esenzione del progetto relativo all’opera “Fsru Piombino e collegamento alla rete nazionale gasdotti” dall’applicazione delle disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale».
Due smentite così avrebbero indotto chiunque fosse dotato di un minimo di amor proprio di dimettersi dall’incarico di commissario.
Perché restare vuol dire avallare un’impressione già consolidata.
Quella che Giani sia poco più che un vice-notaio senza alcun potere reale, chiamato a ufficializzare decisioni prese altrove.
Peraltro con uno spirito di servizio al ribasso di ogni dignità al punto di negare anche qualsiasi potenziale collegamento con l’incendio di un mercantile nel porto di Piombino (avvenuto il 15 agosto) e la sicurezza di quell’enorme rigassificatore, che se in servizio si sarebbe trovato ad appena 200 metri dalle fiamme. In pratica, Giani è un arbitro che scende in campo con la maglia della squadra avversaria.
Chiunque sia capace di sorprendersi per questo, provi a pensare al “modello Piombino” applicato a Peretola. E non solo. Ed è roba che fa paura, molta paura.