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Le calciatrici afghane a Firenze

Le calciatrici afghane a Firenze
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Dopo la sospensione forzata a causa della pandemia, l’Associazione
Nazionale Stelle, Palme e Collari d'Oro al Merito del Coni e del Cip è
ripartita con il progetto “Lo sport abbatte i muri”, volto a
sottolineare come le pratiche sportive siano un elemento fondamentale
per favorire l’inclusione sociale a tutti i livelli. Ogni anno, infatti,
viene indicato a livello nazionale un tema da sviluppare poi
territorialmente, per sensibilizzare ed educare al rispetto delle regole
e dell’avversario, all’insegna dei valori di amicizia, fratellanza che
incarnano l’essenza dello sport.

Le calciatrici afghane a Firenze

Il progetto è partito con il convegno
nazionale a Bari, tenutosi il 4 giugno allo Stadio della Vittoria, e si
concluderà con l’incontro finale nel salone della sede nazionale del
Coni, il 4 dicembre con la presenza dei vertici sportivi italiani:
Giovanni Malagò (presidente del Coni), Luca Pancalli (presidente del
Cip) e Andrea Abodi (Presidente dell’Istituto per il Credito Sportivo).

Giovedì 18 novembre il Comitato Provinciale ANSMeS di Firenze, con la
collaborazione del Comitato Regionale Toscano, ha organizzato il
convegno “Lo sport come strumento di confronto e integrazione a Firenze
e in Toscana”, tenutosi nella sala del Performing Arts Research Centre.
Il convegno si è tenuto con il patrocinio della Regione Toscana, del
Comune di Firenze e dei donatori di sangue della Misericordia di
Rifredi.

Il dibattito, che ha visto la partecipazione di esperti e protagonisti
del mondo sportivo, ha offerto anche l’occasione di spostare lo sguardo
oltre il panorama italiano e ascoltare i racconti di tre calciatrici
afghane, fuggite in seguito all’instaurazione del regime talebano e
accolte a Firenze.

Dopo l’introduzione e i saluti da parte del presidente provinciale
ANSMeS Giovanni Carniani, il presidente regionale Salvatore Vaccarino e
il presidente nazionale Francesco Conforti, ha parlato l’assessore allo
sport di Firenze, Cosimo Guccione, il quale ha ribadito come lo sport
"abbia potenzialità di integrazione fortissime e grazie a esse
permetterebbe la crescita della nostra comunità. L’amministrazione
fiorentina ha sempre tenuto alta l’attenzione sulle esigenze delle
realtà sportive non tanto per vincere premi o trofei, ma per facilitare
il ruolo sociale che lo sport, con tutti i suoi attori, incarna nella
società. Un’esigenza ancor più pressante, vista l’enorme risonanza che
ha un singolo caso negativo rispetto alla stragrande maggioranza delle
iniziative positive che lo sport veicola".

La moderatrice Marina Piazza, vice presidente regionale ANSMeS, ha dato
quindi inizio agli interventi dei relatori.

Marcello Marchioni, presidente del Centro Studi per l’Educazione Fisica
e l’Attività Sportiva, ha affrontato il tema “Immigrati nel sistema
sportivo: un nuovo scenario” e ha spiegato, numeri alla mano,
l’incidenza dei ragazzi di ascendenza straniera sul movimento sportivo
italiano e come, a sua volta, lo sport costituisca un momento di
vicinanza e integrazione non solo per i giovani atleti, ma anche per i
genitori: tutti insieme si ritrovano coinvolti nella vita e nelle
attività delle società di cui fanno parte come una famiglia.

Farnaz Farahi, pedagogista e docente dell’Università degli Studi di
Firenze, ha poi preso la parola con “Sport e integrazione: accettare le
differenze”. "Lo sport è importante per imparare a conoscere le proprie
emozioni e quelle di chi ci è vicino, sia come compagno di squadra che
come avversario, in modo da poter interagire con “l’altro” e dare vita
all’evento agonistico. Tuttavia, dire semplicemente che “lo sport fa
bene” è superficiale: per offrire una reale possibilità di inclusione, è
necessario organizzare la pratica sportiva e sensibilizzarla ai valori
educativi; in primo luogo il rispetto dell’avversario, spesso visto come
un nemico e non come un’occasione di confronto".

L’intervento successivo è stato quello di Alberto Brasca, ex presidente
nazionale Federazione Italiana Pugilato, che ha illustrato la tematica
“Boxe e inclusione”: "Il ring è un altare laico con una propria
sacralità, in cui si compete alla pari e si fanno propri insegnamenti di
vita che si portano con sé fuori dalla palestra. La prima regola,
infatti, è il rispetto quasi religioso del maestro, nonché dei compagni
di palestra e degli avversari. Pur avendo numeri inferiori rispetto a
sport più praticati, le palestre di boxe hanno una valenza
indispensabile di inclusione sociale. Nelle periferie urbane più povere
le palestre rappresentano una delle poche possibilità di integrazione
per i giovani che vivono in condizioni di povertà e marginalità, siano
essi italiani o stranieri".

A prendere la parola, poi, è stato l’assessore fiorentino Alessandro
Martini, il quale ha puntualizzato che "a mancare oggi non è la capacità
di promuovere l’integrazione, ma la voglia farlo in modo positivo per la
comunità. Spesso l’altro è visto, appunto, come un elemento negativo e
destabilizzante per la propria esistenza, non come un possibile
arricchimento. Inoltre, l’integrazione deve avvenire per le giuste
motivazioni: se accolgo un ragazzo perché è bravo in uno sport, non si
tratta di integrazione ma di sfruttamento egoistico. La strada per una
comunità migliore passa anche attraverso sport, a patto che, quando un
ragazzo varca la soglia di una società, non venga visto come qualcuno da
poter 'utilizzare', ma come un individuo che cerca nello sport
l’opportunità che fino a quel momento nessuno gli aveva concesso".

Paolo Mangini, presidente regionale Lega Nazionale Dilettanti Figc, si è
occupato, invece, di trattare “Il calcio come strumento di
partecipazione, aggregazione e integrazione sociale”: "Le parole
'sport', 'inclusione' e 'partecipazione' sono astrazioni. Lo sport, di
per sé, non fa bene a prescindere. A fare la differenza sono i contenuti
educativi che noi mettiamo nella parola “sport”, come l’importanza del
rispetto da portare a compagni, avversari e anche ai materiali. Lezioni
che vanno interiorizzate e seguite anche fuori da rettangolo di gioco.
Le società sportive sono agenzie educative e devono fare rete con le
altre agenzie educative, promuovendo in sinergia i valori fondamentali
della nostra società. Alla luce dei recenti fatti di cronaca riguardanti
le violenze avvenute nell’ambito sportivo, non possono essere solo le
società a intervenire, ma tutti noi dobbiamo fare la nostra parte e
interrogarci sul malessere dei nostri ragazzi".

Infine, la giornata è stata impreziosita dalla testimonianza delle tre
calciatrici afghane a Firenze. "Sì, lo sport può abbattere i muri –
hanno dichiarato –, anzi lo sport è Potere. Un’opportunità per vivere
“alla pari”. Per noi lo sport è vita. Abbiamo scelto il calcio perché
appunto con il pallone cadono le differenze sociali e di genere. Adesso
che siamo in Italia, crediamo di aver coronato il sogno di una vita in
sicurezza e senza ostacoli arbitrari. Ci piacerebbe condurre una vita
normale, fatta di calcio e studio".

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