Stroncato dalla variante inglese, adesso la moglie chiede giustizia: «Vaccino mai somministrato e ritardi nelle cure domiciliari»
L’intervista alla compagna del professore, 63enne, originario di Poggio a Caiano stroncato ad inizio mese dalla variante inglese del Covid:.
Roberto si poteva salvare, non trovo pace, è davvero ingiusto».
Sono le parole che Olga Ladnaia, moglie di Roberto Nania professore morto lo scorso 3 aprile dopo aver contratto la variante inglese, continua a ripetere da oltre due settimane. Sono state giornate piene di dolore, dubbi e rabbia nei confronti di un sistema che di fallacie ne ha avute tante. È una storia che adesso - a fatica e con la voce distrutta - Olga racconta al contrario ripercorrendo tutti i passaggi nel dettaglio, affinché possa servire da monito alle istituzioni e non solo. Nania, 63 anni originario di Poggio a Caiano dov’era tutt’ora conosciutissimo ma oramai da anni residente a Pistoia, docente di elettronica e matematica all’istituto “Fermi-Fedi” di Pistoia, era stato ritenuto troppo in là con l’età per ricevere una fiala del vaccino Astrazeneca (inizialmente somministrato fino a 55 anni) ma ancora perfettamente in grado di insegnare in presenza nonostante l’età. Ed è proprio a scuola che si è ammalato, con tutta probabilità durante il corso serale, iniziando ad accusare inizialmente una leggera tosse e un mal di testa. “Leggenda”, come lo chiamavano gli studenti, vantava di non aver mai preso un giorno di malattia, mai un giorno di assenza e non soffrire di altre patologie. Del caso si è interessata anche l’emittente televisiva americana Cnn, l’inviata Valentina Di Donato inserirà la vicenda dell’insegnante deceduto all’interno di un approfondimento sulla gestione dei vaccini in Italia raccontando vite interrotte troppo presto. «Non dovevano aprire le scuole prima di vaccinare tutti i docenti e trovo inaccettabile che un medico di famiglia trascuri così un suo paziente - ha raccontato la donna - Si è ammalato ed è morto dopo aver lottato un mese. Tutte le leggi e le decisioni del Governo sono entrate in vigore dopo, quando ormai era troppo tardi».
Olga sta valutando di muoversi attraverso un legale per chiedere verità e giustizia per suo marito e chiarire, una volta per tutte, le responsabilità diffuse all’interno del sistema. «La mia vita è distrutta ma voglio delle spiegazioni, siamo stati abbandonati dal nostro medico e dallo Stato - ha continuato la moglie - Non solo, la salma di mio marito è rimasta oltre quindici giorni in un sacco all’interno del deposito del cimitero di Pistoia in attesa di essere cremata: un dolore che si aggiunge a quello della perdita».
La bara del docente, senza rivestimento interno in acciaio, sarebbe stata lasciata per due settimane all’interno di un deposito adibito alla sosta delle salme senza camera refrigerata. Intollerabile dover aspettare così tanto, un’ulteriore preoccupazione che in queste giornate ha amplificato l’incubo vissuto dalla donna. Domenica scorsa, in occasione del loro tredicesimo anniversario di matrimonio, è avvenuta la cremazione seguita da una piccola cerimonia.
Le chiamate senza risposta al medico di famiglia
Dalla comparsa dei primi sintomi fino alla scoperta della positività, i coniugi hanno tentato in tutti i modi di parlare con il proprio medico curante senza riuscirci. «Roberto lunedì 22 febbraio sentiva che qualcosa non stava andando come avrebbe dovuto - ha ricordato Olga - si è spaventato molto e ha chiesto immediatamente un tampone al nostro medico di famiglia. Però abbiamo perso tempo perché è stato impossibile prenotare il test tramite il portale della Asl. Ci siamo dovuti collegare al sito a mezzanotte per sperare di trovare un posto libero per il giorno successivo, chi poteva immaginare una cosa del genere? Tutto questo tempo perso si poteva evitare. Com’è possibile che non si possa prenotare online in modo civile dopo un anno? Lo stesso vale per l’esito del tampone, mille codici e abbreviazioni che non riuscivamo a compilare in quelle condizioni». Il giorno dopo l’insegnante riesce a fare il tampone ma appena torna a casa la situazione respiratoria si aggrava rapidamente col risultato che però arriva dopo altre 48 ore quando Nania sta già peggiorando. «Iniziava a respirare male, così ha tentato di nuovo di contattare il medico per comunicare la positività ma non ha mai risposto alle 31 chiamate - racconta Olga mentre ci mostra il cellulare - Lo abbiamo cercato per quattro giorni senza mai trovarlo. Nella tarda serata di venerdì 26 siamo riusciti a parlare con la segretaria ma il dottore era già andato via. Mio marito cercava disperatamente il cortisone o qualche farmaco che potesse aiutarlo nel frattempo ma è stato impossibile. In quei giorni abbiamo smosso il mondo per una ricetta che non è mai arrivata, una visita, un confronto. Abbiamo preso due pasticche di aspirina ma lottavamo da soli e senza indicazioni contro la variante inglese del Covid».
La situazione continua a peggiorare e contemporaneamente anche Olga inizia ad accusare i primi sintomi con qualche giorno di ritardo. «Mi sento in colpa perché quando ti ammali sei debole e senza forze, non riuscivo a fare niente tranne dormire tutto il giorno, abbiamo smesso anche di mangiare ad un certo punto perché non riuscivamo. Roberto cercava di tranquillizzarmi, ma stava malissimo e chiedeva ad amici e parenti medicinali per alleviare il dolore».
I giorni passano ma la situazione non accenna a migliorare così, domenica 28, decidono insieme di chiamare il 118. Dopo una settimana dalla comparsa dei primi sintomi, uno dei polmoni di Roberto era ormai gravemente compromesso. «Eravamo entrambi confusi, in dormiveglia. Il saturimetro che avevamo comprato segnava 92 ma nessuno ci aveva detto il range di valori di riferimento. Non siamo stati guidati da nessuno, nemmeno al numero Covid della Regione ha risposto nessuno. È andato via con l’ambulanza (Roberto,ndr) e non mi ha nemmeno salutata perché era terrorizzato. Avrebbe preferito farsi curare a casa, con i farmaci necessari, probabilmente la situazione non sarebbe arrivata a questo punto».
Quando è arrivato in ospedale, al San Jacopo di Pistoia, è stato inizialmente ricoverato nel reparto Covid, poi spostato in terapia intensiva e infine all’Ospedale di Careggi dove ha avuto necessità dell’Ecmo, un macchinario per la respirazione artificiale. Un calvario lungo un mese nel quale l’insegnante è rimasto vigile fino all’ultimo. «Mi affidavo alla speranza, da sola in casa malata di Covid, in attesa di ricevere le cure dell’Usca. Il medico di famiglia si è dimostrato sempre molto infastidito dalle mie chiamate, mi rispose “È sano, guarirà”, non riesco a togliermi questa frase dalla testa».
In quei giorni, con il marito ricoverato in gravissime condizioni in ospedale, Olga viene a sapere tramite un loro amico medico di una cura sperimentale in Toscana con anticorpi monoclonali e fa di tutto affinché venga curato anche così, anche in quell’occasione però era ormai troppo tardi.
«Chiederò giustizia per mio marito»
Olga è nel salotto della loro casa, arredata con tutti i ricordi dei loro viaggi insieme, una vita passata in giro per il mondo mano nella mano. Tanti i progetti rimasti nel cassetto aspettando il pensionamento del marito. Dietro di lei un cartellone con una foto del suo Roberto e le dediche dei ragazzi che in centinaia hanno voluto salutarlo nel giorno dei funerali. Le conserva gelosamente, ascolta le storie e i ricordi di ognuno di loro nella speranza di poter sentire di nuovo quel calore tramite i racconti di chi lo conosceva. Non c’è stato neppure il tempo di fermarsi per realizzare l’accaduto, immediatamente ha dovuto accantonare quelle sensazioni per lottare con tutte le sue forze per Roberto. La loro storia, in questi giorni, si è intrecciata a quella di Giuseppina Pinelli docente di Calamonaci (Agrigento) morta di Covid il giorno in cui si sarebbe dovuta vaccinare. La sorella della donna, residente in Piemonte ha contattato Olga dopo aver letto la sua storia sui giornali. «Mi ha chiamato la sorella della docente morta in Sicilia, Caterina Pinelli, anche lei lavora a scuola ed è la figura di riferimento per il Covid. La nostra volontà è certamente quella di unire le forze e contattare un avvocato per fare causa al Ministero della Salute per aver aperto le scuole senza prima vaccinare gli insegnanti - ha raccontato Olga - Fonderemo un comitato per chiedere giustizia per tutti i professori morti di Covid in attesa di vaccino. Non ci fermeremo».
Unire le forze per cercare, insieme, di combattere contro giganti. «Non so come vivere senza di lui, mi aggrappo a questo per andare avanti. Non mi riporterà Roberto indietro ma voglio rivendicare questa morte assurda» . Tra gli effetti personali del professore, consegnati alla famiglia dopo la morte dell’uomo, Olga ha trovato alcuni pezzi di carta assorbente utilizzati come fogli sui quali aveva scritto a penna alcune formule matematiche. Dalla terapia intensiva, pochi giorni prima di morire, Roberto ha continuato ad aiutare i suoi ragazzi mandando loro le correzioni di alcuni esercizi. Un gesto che, più di altri, racconta la dedizione del “professore gentile” innamorato dei suoi studenti.