Martina Neri: «Ora sono una donna nuova»
La storia della ragazza di 31 anni: l’obesità l’ha tormentata ma adesso è rinata e felice con 80kg in meno
"Sei troppo grassa, per te non c'è lavoro". Questo è stato il leit motiv, per anni, di Martina Neri: 140 chili di peso, 1 metro e 80 di altezza, ed una forte discriminazione. Ma, questa storia, ha un "prima" ed un "dopo", oggi che ha 31 anni, e la raccontiamo per capire e riflettere su quanto si possa subire e soffrire per una patologia come l'obesità. Per la pesantezza della situazione in sé, psicologica e fisica, ed il discrimine e la cattiveria sociale.
«l colloqui erano brevi, non mi chiedevano nemmeno ciò che sapevo fare - ha raccontato Martina in questa sua intervista al “Giornale” dopo che, nel 2016, tutta Italia imparò a conoscerla essendo finita, da “Repubblica” in gi, su tutti i più importanti quotidiani - Mi guardavano, e mi dicevano subito che per fare la cameriera, l’addetta al ricevimento hotel, la promoter non ero adatta perché non ero di bella presenza».
Martina di colloqui di lavoro ne ha tanti all'attivo, soprattutto a Prato e provincia, dove abitava prima di trasferirsi a Pistoia, dove oggi vive serena e felice con il suo compagno. Ma di questo parleremo poi. Con la Martina "dopo".
E la risposta?
«Ogni volta era quasi sempre la stessa, con parole più o meno di questa serie: " Sei sicura che questo sia il lavoro adatto per te? Ce la fai a camminare molto e a stare in piedi?”. E peggio: “Sei troppo grossa, non vorrei far scomodare i clienti per farti passare tra i tavoli"».
Diventò famosa per la sua denuncia sui social, tanto che fu contattata anche da Barbara D'Urso, ma lei rifiutò anche se, con sorpresa, si vide a tutto schermo in tv.
Martina ed il suo “prima”
La storia inizia a 10 anni di età. Quando per un disturbo congenito a carico del sistema nervoso centrale, scambiato per caso psichiatrico grave, viene letteralmente imbottita di medicinali, facendola ingrassare ad 85 chili per arrivare, da grande, a 140. La sua vita è stata un susseguirsi di entrate e uscite da cliniche specializzate: «Quante ne potrei raccontare - ha affermato - di fallimenti terapeutici, di sedute di terapia individuale e di gruppo, ed in tutto ciò del tanto dolore e del senso di profonda inadeguatezza che ho provato».
Gli occhi di Martina, oggi più sereni ma sempre con un velo di tristezza che trapela via via nel raccontarsi, parlano della sua storia. Che, al di là di tutto, è storia di dolore.
«Dopo questi colloqui tornavo sempre a casa in lacrime. La mia famiglia è sempre stata accanto a me, ma non è stata una vita facile, neppure per loro. Io ho altre due sorelle, con cui ho avuto problemi a causa della eccessiva attenzione da parte dei miei genitori alle mie problematiche che sottraevano attenzione a loro. Non è stata colpa mia, io avrei fatto altrettanto. Mio padre, che oggi non ho più, mi ha sempre difesa».
Ma il dolore di Martina non è solo relativo a questioni di lavoro. Il discrimine lo viveva anche per strada, a scuola, tra gli amici, nei primi approcci all'affettività, al sesso. L'adolescenza è un periodo di passaggio molto delicato, e già abbastanza ricco di tumulti interiori; se a ciò si aggiunge la derisione, la violenza e la delusione, diventa un incubo.
«Per la strada le persone ridevano di me, li sentivo sparlare alle mie spalle - ha ricordato - si arriva a concedersi, solo per dimostrare di esistere, di meritare amore. Vedevo le mie amiche con il fidanzatino, e stavo male per non aver un cenno di attenzione da parte dei ragazzi. Ecco che, per sentirmi un po’ amata, ho fatto errori enormi, che non mi hanno dato nulla se non un ulteriore dolore».
E poi, la violenza. Singola, e di gruppo. «Perché evidentemente si sentivano autorizzati ad approfittarsi di me, solo per il fatto che ero grassa, per tutti inguardabile. Oggetto unicamente utile per sfogare i loro bassi istinti e divertirsi».
Martina ed il suo “dopo”
Oggi è una donna diversa che guarda la sua se stessa precedente con affetto, ma come fosse una sua cara amica a cui ha detto “Ciao”, dopo la scelta di sottoporsi ad un intervento che le ha permesso di ricominciare una nuova vita.
«Devo ringraziare la bellissima equipe de “Le Scotte”, a Siena, che finalmente mi ha fatto rinascere. Un team capace che mi ha presa per mano, e riportata alla vita».
E guai a pensare che possa essere una passeggiata affrontare questo tipo di intervento.
«Ho fatto il by-pass gastrico intestinale: non bisogna ricorrere a questo solo per rientrare nei jeans taglia 42, ma per la salute che è al primo posto. In un solo anno ero già diventata più magra, con 80kg in meno. Certo, le privazioni sono state e sono tante: bisogna state attenti alle indicazioni, e certe situazioni che si creano con il cibo, possono diventare imbarazzanti. In fondo, si ha tutto l'organo digestivo ridotto, è inevitabile che accada. Ma con tanta forza di volontà e motivazioni profonde, come io avevo, è stata una buona soluzione. Lo rifarei subito».
Dopo la relativa diminuizione di peso, adesso la vita è cambiata.
«Ad iniziare dal lavoro - ha aggiunto - più magra avevo trovato occupazione ad Agliana ed ora qui a Pistoia. Non sentirmi più dire " Sei troppo grassa" mi ha reso la vita migliore. L’unica cosa che vorrei dire è che per certe patologie dovrebbero permettere di scaricare gli integratori dalle tasse. Io ne devo usare diversi e costosi: talvolta devo decidere se acquistare quelli o pagare le bollette».
Da pratese a pistoiese acquisita: una sensazione anche questa decisamente particolare.
«E’ una città fantastica - ha ammesso - a misura d'uomo, pulita, ordinata e senza delinquenza. Qui mi sento tranquilla a girare per strada di sera tardi. A Prato spesso ho avuto paura. Vivo qui, con il mio compagno, che mi rende felice ogni giorno».
E come situazione lavorativa?
«Tempo fa ho lavorato per una cooperativa che si occupa di accoglienza migranti: le cifre erano misere con tante promesse poi rese vane. Poi, ho trovato lavoro in un locale di ristorazione cinese. Non è facile comunicare con loro, però mi trovo bene. C'è rispetto da entrambe le parti. A causa di questo periodo sono a casa, in aspettativa non retribuita, ma il mio posto di lavoro è lì che mi attende, appena possibile. Per adesso ho la mia piccola pensione di invalidità civile a darmi un sostegno, ma è ovvio non basta».
Ecco perché, alla fine della nostra chiacchierata, il volto di Martina si illumina perché è riuscita, a distanza di cinque anni da quel primo racconto, a tornare a parlare di se stessa in prima persona.
«Vorrei ringraziare per questa intervista perché credo che portare a conoscenza di queste vicende possa servire - ha concluso Martina Neri - l'obesità è una malattia. Non basta mangiare un po' meno e camminare di più per sconfiggerla, è una disfunzione metabolica grave. Di obesità si può morire, esattamente come si può morire di anoressia. Gli obesi sono esseri umani e non devono più nascondersi, vergognarsi di tale condizione. Purtroppo, l'ho toccato con mano, viviamo in una società dove se non sei magra e bella, non sei nessuno. Il mio peso eccessivo, e tutte le problematiche ad esso legate, mi facevano pensare che non avrei mai avuto futuro. Spesso scrivevo dei piccoli pensieri, che ancora conservo: "Avrò mai una vita felice? Chi sarà la Martina di domani? E semmai, cosa penserà di se stessa ? Troverà mai un lavoro?”»
La risposta è qui, in queste lunghe parole scritte dalla Martina del "dopo".
«C'è ancora da fare, perché a breve dovrò sottopormi alla rimozione della pelle in eccesso ed ho continui controlli periodici. Ma sto bene. Sono felice, amata e rinata alla vita».