Prato

Sit in per dire no allo stupro davanti al bar di Camuffo

La manifestazione dell’associazione “Non una di meno” che si è tenuta lo scorso sabato davanti al bar Pancaffè

Sit in per dire no allo stupro davanti al bar di Camuffo
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Le ragazze non ci stanno e scendono in piazza per ribadirlo ancora una volta. Le narrazioni tossiche sul caso dell’ex appuntato dei carabinieri Marco Camuffo sono la principale causa della manifestazione dell’associazione “Non una di meno” che si è tenuta lo scorso sabato 13 febbraio davanti al bar Pancaffè di Prato. Ma facciamo un passo indietro. Nel mese di gennaio la stampa locale si era interessata all’apertura diun nuovo bar in via del seminario, il Pancaffè, rilevato da Camuffo insieme alla sua nuova compagna. Un bar che cambia gestione “tornando in mani italiane”, un nuovo panificio e minimarket. Tutto normale all’apparenza se non fosse per il nome già salito agli onori delle cronache del titolare. Camuffo, infatti, è stato costretto ad abbandonare l’Ama dopo la condanna per violenza sessuale ai danni di due studentesse americane nel 2017. La notte tra il 6 e il 7 settembre, Camuffo e l’ex collega Pietro Costa si trovavano in servizio fuori da una nota discoteca fiorentina quando decisero di riaccompagnare le due ragazze a casa consumando poi la violenza sessuale che, stando agli atti, sarebbe avvenuta approfittando dello stato di semi-incoscienza delle ragazze dato dall’alcol. Quattro anni e sei mesi conun lieve sconto di pena in appello. Le pagine dei giornali si sono riempite di scalpori, opinioni e dibattiti che hanno dato voce solamente all’uomo il quale non si è trattenuto dal dichiararsi “paladino dei diritti delle donne”. Lo stupro, che rappresenta ancora un problema culturale, è stato rappresentato dai media locali come un “vizietto”, una “macchia” nella vita di un uomo che sta cercando di rifarsi una vita rilevando un’attività precedentemente gestita da stranieri nel centro storico di Prato. A questo tipo di racconto non ci stanno le attiviste e gli attivisti dell’associazione fiorentina che si sono dati appuntamento per un sit in di protesta proprio davanti al bar dell’uomo in via del Seminario. «Ha presentato il suo bar come un riscatto sociale come se lo stupro fosse un inciampo di percorso ma lo stupro rovina la vita delle donne irrimediabilmente, vogliamo le donne vittime di violenza protagoniste delle narrazioni». Piccoli momenti di tensione durante la protesta quando un uomo si è avvicinato al cordone di ragazze sul marciapiede per interromperle, poi allontanato dalla Digos. La divisa, ormai un lontano ricordo nella vita di Camuffo, si è trasformata adesso in un grembiule da cucina ma la serranda del locale è rimasta abbassata. Una chiusura prevista e annunciata. Le reazioni dal mondo politico-sociale pratese sono arrivate immediatamente. Il centro Antiviolenza “La Nara” di Prato, Intersezioni e il coordinamento donne Cgil e Spi Cgil Prato hanno presentato una lettera aperta dal titolo” per un’altra narrazione della violenza di genere” per sensibilizzare gli operatori dell’informazione al contrasto alla violenza attraverso l’uso del racconto. Alla lettera si è aggiunta Teresa Gori dei giovani democratici, Luana Bracone della conferenza donne democratiche e Giulia Giraudo dell’associazione Futura. Le consigliere d’opposizione Ovattoni e Storai, inizialmente favorevoli, si sono poi tirate indietro ritenendolo un “presidio giustizialista”. «Il fenomeno della violenza sulle donne in italia è rappresentato in maniera distorta dei media che tendono a giustificare gli atti violenti sminuendo il ruolo dell’oppressione» -raccontano le attiviste «Anche in questo caso Camuffo giudicato colpevole di stupro è stato descritto come “pover uomo che si è rimesso in piedi da solo”, questa narrazione è distorta. Alle accuse di giustizialismo rispondiamo che non lo siamo. Non ci poniamo al posto dello stato o della magistratura, siamo venute qui soprattutto per le narrazioni simbolo di quello che succede in Italia. Vogliamo portare all’attenzione che lo stupro non è un reato minore. Non siamo giudici, a noi sta il compito di denunciare la rappresentazione della violenza sulle donne che continua ad esistere anche a causa del modo di raccontarle»

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