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"Noi, infermieri anestesisti, da sempre jolly in ospedale, ai tempi del coronavirus"

Il racconto della 36enne poggese Giulia Cirri che lavora all'ospedale di Careggi.

"Noi, infermieri anestesisti, da sempre jolly in ospedale, ai tempi del coronavirus"
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Il 12 maggio è stata la Giornata internazionale dell’infermiere, in onore di Florence Nightingale, la fondatrice delle scienze infermieristiche moderne. Bisenziosette l'ha festeggiata con un''intervista a un'infermiera di terapia intensiva dell'ospedale di Careggi a Firenze che racconta il lavoro durante il coronavirus e non solo.

Noi, infermieri anestesisti, da sempre jolly in ospedale

«Nessuno ti ha avvisato prima, nessuno ti ha preparato né dato spiegazioni. Anzi quasi si aspettano che penserai tu a tutto, tanto da sempre sei il jolly dell’ospedale. All’occorrenza psicologo, addetto alle pulizie, estetista, idraulico, meccanico, ingegnere gestionale o informatico oltre che quello che dovresti essere: un semplice infermiere di terapia intensiva».

In un momento difficile come quello che stiamo vivendo, a tanti è capitato di chiedersi come infermieri e medici, le categorie più esposte al contrasto al virus, trascorressero le giornate di lavoro, fra pensieri, auspici ed impegno. E dalle parole Giulia Cirri, trentaseienne infermiera poggese in servizio a Careggi, ha affidato a una lettera inviata a don Cristiano D’Angelo, emergono tutte le risposte.

«Le istruzioni sono poche, dovrai inventarle tu via via che vivi le tue giornate di lavoro. Entri nel filtro che ti separa da questa porzione di mondo che sembra una specie di dimensione parallela. Varchi la soglia della bolla, chiusa rigorosamente dal muro che fino a ieri non c’era e da una porta con una grossa scritta “Vietato l’accesso, Covid19” - ha continuato - i giorni passano, impari a tollerare la reclusione nello scafandro ad ore crescenti, aumenta la tua tolleranza alla Co2 che normalmente ti avrebbe sottratto lucidità in capo a qualche decina di minuti. Impari a muoverti agevolmente anche nella tuta. E anche alcuni dei tuoi malati migliorano, si svegliano, iniziano a respirare da soli. Qualcuno si sveglia già lucido, qualcuno ancora non distingue se sta sognando o se è realtà. Ti accorgi però che tutti hanno un unico grande bisogno: la tua presenza».

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