700.000 euro

Morì dopo un'infezione: dopo 12 anni maxi-risarcimento alle figlie

Per il Tribunale, all'ospedale Serristori di Figline Valdarno fu sbagliata la prima diagnosi: i medici non scoprirono l'infezione poi fatale

Morì dopo un'infezione: dopo 12 anni maxi-risarcimento alle figlie
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Secondo il giudice della quarta sezione civile di Firenze, quella cartella clinica avrebbe dovuto far scattare specifiche diagnosi e soprattutto una terapia antibiotica ben mirata. E invece in due ricoveri qualcosa è sempre andato storto. Tanto che la paziente ha perso la vita.

Il caso, stavolta, è di una donna, all’epoca dei fatti 77enne, deceduta nel 2012 nell’ospedale di Prato (nella foto di copertina) dopo un primo ricovero al Serristori di Figline Valdarno.

Il primo ricovero

Al primo ingresso al pronto soccorso la diagnosi parla di dispnea, ovvero difficoltà respiratorie, e risale al 2 gennaio 2012. Viene dimessa dopo 10 giorni, e in quel lasso di tempo viene monitorata a livello cardiaco, visto che soffre di scompensi importanti e nel 2010 si era dovuto sottoporre a cicli di radioterapia per un tumore all’utero. Gli esami evidenziano segno di insufficienza renale e la bronchite, le viene somministrata una terapia antibiotica e una per lo scompenso cardiaco.

La seconda volta in ospedale

Trascorrono dodici giorni e la pensionata, dopo una caduta in casa con frattura di un femore, torna in ospedale, questa volta a Prato. I medici si accorgono che ha una diarrea cronica e le viene prescritta una terapia antibiotica. Il 2 febbraio la situazione precipita e la 77enne muore.

Il maxi risarcimento a 12 anni di distanza

Secondo il giudice Liliana Anselmo cui si sono rivolti i familiari, sussiste quindi la responsabilità per aver tardivamente diagnosticato e curato l’infezione da Clostridium difficile, il batterio che ha provocato la morte della donna. E per questo, pochi giorni fa, ha condannato l’Asl Toscana Centro a risarcire le due figlie della donna con una somma che supera i 700mila euro.

I dettagli del verdetto

In particolare, il giudice spiega nella sentenza che l’infezione doveva già essere diagnosticata nel primo ricovero, e che tale mancanza ha determinato il ritardo nella somministrazione della terapia antibiotica specifica (con prosecuzione di quella empirica) che ha poi determinato il decesso per una condizione di shock settico da cui è derivata l’insufficienza multiorgano, causa finale della sua morte.

Per il tribunale poteva salvarsi

La donna, quindi, poteva salvarsi e nonostante i chiari sintomi di infezione, “i sanitari non eseguivano idonei accertamenti per diagnosticarla e imprudentemente la dimettevano”, scrive ancora il Tribunale.

La stessa infezione, conclude la giudice, è correlata alla carente assistenza igienico sanitaria ed “è stata contratta, con elevata probabilità, nel primo ricovero all’ospedale Serristori”.

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