L'epatite che colpisce i bambini, parla Massimo Resti, direttore del Dipartimento Specialistico Interdisciplinare del Meyer
«Noi epatologi abbiamo sempre a che fare con epatiti di cui l’eziologia (ovvero la scienza che ricerca le cause di una o un’altra malattia) non riusciamo a inquadrarla. Quindi non è per noi un’evenienza rara. E’ una situazione con cui ci confrontiamo quotidianamente».
Sono le prime parole del dottor Massimo Resti, 67 anni, direttore del Dipartimento Specialistico Interdisciplinare del Meyer di Firenze, a cui abbiamo chiesto delucidazioni dopo il caso di epatite che ha colpito un bambino di tre anni di Prato che per una settimana ha lasciato tutti con il fiato sospeso. Intanto la buona notizia è che il piccolo, ricoverato prima a Prato, poi al Meyer e infine all’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, ha lasciato martedì la terapia intensiva.
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L'epatite che colpisce i bambini
«Normalmente queste forme di innalzamento delle transaminasi poi si risolvono e quindi rimaniamo in una incertezza diagnostica che però lascia il tempo che trova».
In questo caso però l’attenzione è salita particolarmente.
«Perché - ha spiegato il dottor Resti - c’è stato un cluster soprattutto in Inghilterra e nella parte del Nord Europa, in cui si sono verificate alcune forme, circoscritte anche nelle zone, in cui queste forme di epatite sono state particolarmente aggressive e in alcuni casi da determinare una insufficienza epatica così grave da richiedere il trapianto di fegato. Da queste prime segnalazioni ne sono poi comparse anche altre: ecco che c’è quindi un “alert”, un’attenzione a queste situazioni».
Così si è sviluppata l’attenzione
«Non abbiamo al momento nessun elemento di certezza su quale possa essere la genesi. Sospettiamo visto l’andamento epidemiologico di una forma virale, che potrebbe anche esserci sempre stata e che ora è diventata più cattiva in alcuni casi e che non abbiamo mai diagnosticato nel passato; oppure potrebbe essere un virus che normalmente determina modeste epatiti e che in questo caso in alcuni soggetti ha determinato un aggravamento della situazione clinica. A me da qui alla fine dell’anno arriveranno sicuramente tante forme virali, di “epatiti” di cui non capirò la diagnosi: come è successo in tutti gli altri anni. Ora si entrerà nel pallone però a causa di tutto questo. E ci sarà sicuramente una segnalazione che comprenderà tutte le altre epatiti che finora abbiamo visto (e che non hanno dato noia a nessuno) e quelle eventualmente collegate a questo agente (che potrebbe essere un agente che c’è sempre stato ma che ora è diventato più aggressivo). Al momento siamo a questo: non abbiamo un elemento di diagnosi chiara, si è detto che alcuni di questi bambini avevano avuto infezione da adenovirus e non siamo abituati ad avere tremente infezioni da adenovirus, possono avere un modesto interessamento del fegato, a volte possono dare febbre elevata anche per una settimana dieci giorni, questo dipende dalla risposta immunitaria. Ecco potrebbe anche essere che ci sia un cambiamento in questo: si è parlato di adenovirus perché in alcuni soggetti si è trovato la presenza di questi virus, ma in realtà in altri assolutamente no. Ecco perché dico che al momento viviamo in una condizione di ipotesi e ognuno dice la sua».
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