epistolario ricostruito

Prigionieri di guerra, Lettere e memorie di Evandro Dell’Amico

Il nipote dedica “In mio nome, mai più”, che idealmente si affianca e completa una trilogia della memoria

Prigionieri di guerra, Lettere e memorie di Evandro Dell’Amico
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Le storie diverse di Bruno Dell’Amico, soldato italiano prigioniero degli inglesi in Australia e rientrato in Italia nel 1947 per dedicare il suo impegno civile alla militanza socialista e sindacale e coltivare la sua passione per la cinematografia, e di Evandro, marconista del Regio Esercito deportato il 9 settembre 1943 nello Stammlager di Hartmannsdorf in Germania, che a casa non ha mai fatto ritorno, ucciso nel 1945 dalle malattie e dal trattamento subito durante la prigionia.

Ed è proprio alla vicenda umana di Evandro Dell’Amico che il nipote, stesso nome dello zio, dedica “In mio nome, mai più”, che idealmente si affianca e completa una trilogia della memoria iniziata con “L’uomo tornato da lontano” “Il viaggio australe” e “l’Artigiano dell’immagine”.

Il volume, presentato nella sala Pegaso di Palazzo Strozzi Sacrati dall’autore assieme, fra gli altri, all’assessora all’Istruzione, formazione professionale, università, ricerca, impiego, relazioni internazionali e politiche di genere Alessandra Nardini, al presidente della prima Commissione del Consiglio regionale Giacomo Bugliani, al sindaco del Comune di Aulla Roberto Valettini, all’assessore alla cultura del Comune di Carrara Gea Dazzi e a Daniele Tarantino, presidente dell’Associazione culturale Insieme di Massa- Carrara, riporta attraverso un minuzioso lavoro di ricerca le lettere che i fratelli si sono scambiati fra loro e con altri membri della famiglia durante il periodo della guerra e della prigionia.

«L’epistolario ricostruito da Evandro Dell’Amico – puntualizza Giacomo Bugliani – ha il riconoscimento della pubblicazione curata dal Consiglio proprio perché il suo contenuto è parte integrante del patrimonio ideale della Regione Toscana e ne rappresenta il senso ed i valori nella tutela della libertà e nella tradizione del suo simbolo, il Pegaso alato, scelto dal Comitato di liberazione nazionale durante la Resistenza all’occupazione nazifascista».

Nel volume il recupero della corrispondenza, riportata anche in forma fotografica, restituisce in modo particolarmente efficace ed incisivo tutto il senso drammatico dei giorni fra il 1943 ed il 1945 dove i dettagli dei timbri delle cartoline postali, nei visti della censura, nelle stampigliature multiple delle autorità militari di controllo testimoniano il crudele metodo di chi riesce a ridurre la follia della guerra e dello sterminio a pratica burocratica con regole precise mandate a regime, ed evidenzia anche, con un lavoro di ricerca ostinato ed affettuoso, l’umanità di chi ha dovuto convivere in silenzio con il dolore combattendolo, come l’infermiera Gemma Sarri Donnini della Croce Rossa, che di Evandro dell’Amico ha raccolto le ultime parole e tenuto i contatti con la famiglia.

Le pagine di Evandro D’Amico, sottolinea l’assessora Nardini, “vanno oltre la ricostruzione appassionata di un importante frammento di storia familiare e rappresentano l’esemplare recupero di momenti di memoria collettiva con i quali il nostro Paese non è ancora riuscito a fare i conti con i suoi silenzi, in certe forme di negazionismo della storia, nelle discriminazioni, nelle attuali esibizioni di fascismo e nazismo presenti nelle cronache di oggi e in quel tentativo autoassolutorio che è parte della rimozione della responsabilità che il ventennio della dittatura ha avuto nella costruzione e condivisione dell’orrore”.

Non c'è indulgenza nella testimonianza di Evandro Dell’Amico

La sua forza è nella sua calligrafia chiara e senza incertezze o ripensamenti, nel suo resoconto asciutto, nella cura di chi cerca sempre di raccontare le cose come stanno e nello stesso tempo rassicurare persone care e familiari. C’è sempre un senso di composto decoro nei suoi scritti che stride con la disumanità della sua condizione. Resistere con decisione ferma a tutto, anche a sé stessi: forse è questo il principale impegno di chi vuol render durevole la sua testimonianza.

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