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Un fiume di denaro verso la Cina, grazie ad una banca clandestina

Indagate 13 persone, due già in carcere

Un fiume di denaro verso la Cina, grazie ad una banca clandestina
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Una banca clandestina che offriva servizi occulti di trasferimento di denaro in Cina a favore di connazionali dietro al pagamento di una percentuale del 2,5% dell'importo trasferito e applicando tassi di cambio tra euro e yuan leggermente più sfavorevole rispetto a quelli ufficiali.

"Pienamente provata una intensa, continuativa, quotidiana e inequivoca attività di raccolta di denaro", scrivono gli inquirenti. L'ipotesi accusatoria è associazione a delinquere dedita alla commissione di una serie di reati di esercizio abusivo dell'attività finanziaria e bancari.

L'ordinanza riguarda due persone di origini cinesi sottoposte alla misura cautelare della custodia in carcere, mentre 13 sono gli indagati in totale. Tutti connazionali e accusati a vario titolo per appartenenza all'associazione a delinquere, esercizio abusivo dell'attività finanziaria e bancaria e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.

Le indagini della Guardia di finanza

Durante le indagini è stato inoltre sequestrato, complessivamente, un milione di euro in contanti oggetto di ritiro da parte della banca clandestina e di cui si tentava il trasferimento all'estero. In un caso anche tramite un connazionale proveniente dall'Ungheria. Mentre  circa 74.000 euro oggetto del sequestro di oggi, mercoledì 15 marzo, disposto dal Giudice per le indagini preliminari costituiscono il 2,5% di commissione incassata a fronte del ritiro di circa 3 milioni di euro conferiti dai clienti. Somma peraltro incassata e documentata durante le indagini.

Una vera banca illegale

Il servizio specializzato consisteva nell'accogliere i clienti, tutti imprenditori cinesi che lavorano nel settore della pelletteria e dell'abbigliamento, nel ritirare il contante che si intendeva trasferire senza essere tracciati tramite gli intermediari abilitati dalla Banca d'Italia.

Due i principali canali

Il sistema di trasferimento aveva due principali canali: per piccoli importi gli indagati usavano le applicazioni "We chat" e "Alipay", che consentono trasferimenti di denaro associando a un conto una o più carte di credito dalle quali, al momento del pagamento, viene prelevato l'importo esatto ritiro.

Per importi più consistenti, attraverso un meccanismo più complesso. Il denaro veniva anticipato attraverso conti correnti e carte bancarie accesi in Cina in favore di altri soggetti residenti in Cina e indicati dagli stessi clienti, dopodiché il denaro raccolto in contanti nel negozio fiorentino o nella filiale pratese veniva prelevato da ulteriori connazionali (cosiddetti "trasferitori") e trasportato fisicamente in madrepatria con altre modalità.

In alcuni casi la banca clandestina metteva a disposizione dei propri clienti denaro contante dopo aver ricevuto un bonifico sui conti correnti nella Repubblica Popolare.

La situazione si è complicata col Covid

Dalle indagini è emerso che, al fine di creare un'adeguata provvista che consentisse di far arrivare il denaro ritirato in contanti ai clienti finali, gli indagati avrebbero comprato in Italia, su commissione di connazionali residenti in madrepatria, beni di lusso per inviarli in Cina. Così, i committenti accreditavano la relativa somma, comprensiva di commissioni per il servizio reso, sui conti correnti esteri degli indagati, in modo tale da non necessitare il trasferimento del contante ritirato in Italia verso il Paese di origine.

Le indagini hanno inoltre permesso di evidenziare le criticità per trasferire il denaro durante il periodo pandemico a causa delle restrizioni sulla circolazione e dei relativi controlli sugli spostamenti delle persone. Infatti, per i cosiddetti "spalloni" era diventato più complicato far entrare il denaro in Cina a causa della cancellazione dei voli. Da qui la soluzione di utilizzare il trasporto via container. Ovvero il trasporto diretto via auto da parte degli spalloni fuori dal confine nazionale per versarli presso banche estere dove la legislazione antiriciclaggio era meno stringente.

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