Strage Erasmus, morto l'autista del bus: "Per le nostre figlie niente giustizia"
L'intervista video a Gabriele Maestrini, padre di Elena, e Stefano Bartoli, avvocato della famiglia di Lucrezia Borghi
Sono passati sette anni da quella strage dove morirono 13 ragazze. Sette di loro erano italiane. Elena, Elisa ed Elisa, Francesca, Lucrezia, Serena e Valentina. Vite spezzate tra le lamiere di un bus che finì fuori strada a Freginals, in Catalogna. Ieri, giovedì 6 aprile, si è chiuso definitivamente un altro capitolo con la morte dell'autista Santiago Rodriguez Jimenez, deceduto per un infarto.
E quel dolore che non trova giustizia
«Sette anni dopo, nello stesso periodo dell’anno in cui le nostre ragazze sono mancate, ci ha raggiunto la notizia della morte di Santiago Rodriguez Jimenez, l’autista.
Finisce quindi la nostra storia giudiziaria - dicono le famiglie delle ragazze italiane - Non sarà emesso nessun verdetto perché la responsabilità penale è personale.
Nell’autunno del 2022 avevamo preso tutti insieme una decisione sofferta e difficile, acconsentendo ad un patteggiamento con l’emissione di una sentenza di condanna dell’autista; il quale, in cambio di uno sconto di pena, avrebbe ammesso finalmente la sua responsabilità.
Un lungo lavoro di contatti e mediazione svolto di nostri legali in Spagna, che aveva portato all’adesione di tutte le parti civili e dello stesso imputato. Ci era stato comunicato che uno sciopero di due mesi dei segretari giudiziari aveva impedito la fissazione dell’udienza di patteggiamento, ma che la data era vicina ed il PM aveva già depositato la relazione per il Tribunale con i termini dell’accordo di patteggiamento».
Una decisione difficile
«Non era stato facile per noi decidere: qualcuno esitava, qualcuno era contrario. Ma dal 20 marzo 2016 siamo diventati un po’ come una grande famiglia e alla fine la scelta è stata presa e comunicata in Spagna. Questa vicenda ci ha portato via troppo, ma la dignità ci è rimasta: ci siamo rifiutati di subire per anni un processo che non ne voleva sapere di partire.
Abbiamo perso fiducia in un paese dove l’esercizio della giustizia dipende dalla capienza e dal numero delle aule o dalle rivendicazioni sindacali pur legittime di un segretario. Uno stato in cui il risarcimento delle vittime di sinistri stradali vale meno di quello di altri sinistri, per non pesare sulle compagnie assicurative. Quindi, meglio uscirne prima possibile, per non subire più. Nemmeno questo è stato possibile. Ci resta solo la notizia che l’autista avrebbe patteggiato: è la nostra unica non sentenza.
L'autista non era l'unico colpevole
«I veri colpevoli non sarebbero stati comunque in quella aula. La società di trasporti che aveva consentito ad una persona non più giovane e con problemi di salute di fare un viaggio troppo lungo senza un sostituto; l’associazione studentesca (ospitata e sponsorizzata da un ateneo che poi si è dissociato) rea di aver organizzato una gita nella quale degli autisti dovevano viaggiare e stare svegli per più di 24 ore consecutive; il rappresentante dell’associazione stessa che la mattina aveva ripreso l’autista vedendolo incline a colpi di sonno, ma che dopo la mezzanotte aveva fatto salire su quel pullman 50 persone, senza chiedere una sostituzione alla guida. Le autostrade spagnole, i cui guard rail erano e sono tanto tanto vecchi».
Un appello disperato
«Il nostro appello è rivolto a coloro che hanno responsabilità e che possono fare in modo di cambiare le cose, esercitando maggiori controlli su chi spende il loro nome; disciplinando una volta per tutte il trasporto di persone senza avere paura di toccare interessi economici; stabilendo regole uniformi di risarcimento del danno che valorizzino la vita e inducano a condotte prudenti. Solo così l’Europa di cui le nostre figlie si sentivano cittadine, potrà essere un posto sicuro e giusto. Per parlare di questo e costruire, ci saremo sempre. Per rivangare e rivendicare no. La corsa è finita. Questo lo dobbiamo a Elena, Elisa ed Elisa, Francesca, Lucrezia, Serena e Valentina».