Eleonora, l'avvocatessa che trasforma la malattia in arte

La sua mostra si inserisce nella rassegna “La Rosa di Gerico, promossa dall’assessorato alle pari opportunità per parlare dell’universo femminile, di ferite e di rinascite.

Eleonora, l'avvocatessa che trasforma la malattia in arte
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Eleonora Santanni, classe 1964, di Montemurlo, è un’avvocatessa di professione e un’artista per passione.

Eleonora, l'avvocatessa che trasforma la malattia in arte

La mostra di Eleonora Santanni, avvocatessa di Montemurlo, si inserisce nella rassegna “La Rosa di Gerico, promossa dall’assessorato alle pari opportunità per parlare dell’universo femminile, di ferite e di rinascite. Aperta dal 1 marzo e visibile fino al 15, “Le scapate” è allestita nella galleria della Sala Banti (Piazza della Libertà).

Com’è nata la passione per l’arte?

«La passione per l’arte e la creatività nasce dai miei studi classici e dall’aver vissuto sempre a contatto con il colore e la moda nella sartoria delle Sorelle Taiti, ovvero sia di mia madre e delle sue sorelle; e dall’avere sempre girato per musei e osservato molto ciò che mi circondava».

Da quando ha iniziato a dar forma alla sua arte realizzando opere?

«L’occasione che mi ha fatto nascere come artista è stato l’incontro con Geniale Ruffa e il laboratorio organizzato da Manila Totapulchra. E’ stato come aprire un recipiente in pressione. Quando mi sono resa conto che dare una forma alla mia creatività in modo istintivo, libero da preconcetti artistici, era un bisogno di comunicare  le mie emozioni e il mio vissuto, spronata da un nutrito gruppo di amici, ho iniziato a partecipare a concorsi, a mostre collettive, insomma a uscire dal guscio».

Come concilia il lavoro con l’arte?

«Ho dovuto fare i conti con la mia professione di avvocato civilista e mediatore. Amo molto il mio lavoro perché mi mette in contatto con il vero della vita. Mi dedico alle creazioni artistiche nei momenti in cui non lavoro e la sera tardi. Sono momenti di vera liberazione che mi aiutano a riflettere e a scaricare la tensione».

A quale opera è più legata e perché?

«Sono legata a tutte. Forse l’opera che preferisco è Onda d’urto. Un’installazione in carta e plexiglass in cui la foto è sfondata e lacerata, come se il corpo dell’artista uscisse dall’immagine, con la sua emotività e la foto non fosse in grado di contenerlo. E’ un’opera fortemente evocativa del mio vissuto. All’inaugurazione qualcuno mi ha fatto un complimento che mi ha colpito: “Fontana tagliava la tela, tu sfondi la fotografia”».

Com’è nata l’idea del progetto Le Scapate? Dove ha trovato la forza di farsi fotografare dopo un importante intervento al seno? Come ha affrontato la malattia? 

«Quando ho affrontato la malattia ero giovane e mi ero sposata appena da un anno. E’ stato uno choc pazzesco digerire il cancro alla mammella e quello che lascia sul corpo e nello spirito. Ho conosciuto tante donne, alcune più sfortunate di me, e altre con cui ho instaurato un rapporto di sorellanza. Il cancro mette a nudo la nostra fragilità, perché ci si sente soli a combattere con un nemico infido, anche se attorniati da medici, familiari e amici. La mutilazione che ho subito, via via che passavano gli anni, mi ricordava quanto fossi stata forte a superare quei momenti difficili. Ho iniziato anche a scherzarci sopra e pensare che fosse quasi da supereroina avere una mammella sola.  Attraverso il progetto Le Scapate, ovvero donne senza testa, senza senno, ho dato vita a corpi femminili, spersonalizzati, istintivi, liberi dalle paure, liberi di mostrarsi anche goffi, feriti, mutilati. Prima ho realizzato delle strip, Figure e Spazi, dove queste scapatine di carta pesta si muovevano alla ricerca della luce. Ho poi pensato che fosse arrivato il momento di guardare da fuori da me il mio corpo, come in un deja vu, e così ne ho parlato a Serena Gallorini, amica e fotografa, le cui foto ho poi trasformato come se fossero materia viva. Sono foto crude, ma al tempo stesso, leggere e poetiche: anche un corpo femminile mutilato ha la sua grazia e la sua bellezza, come una sorta di “Venere contemporanea” che non ha paura a mostrarsi per come è. Il progetto è nato così con opere evocative e molto intense. Con Serena Gallorini, la collaborazione di Elisabetta Rizzuto e la grafica Ilaria Meoni, abbiamo realizzato il catalogo, con la  presentazione di Franco Legni, collega ed amico scrittore. A gennaio 2018 sono partita presentando  alcune opere, tra Bologna, Palermo e Barcellona, fino ad arrivare e tornare a Montemurlo, dove sono nata».

Prossimi progetti?

«Voglio ancora esplorare questo mondo de Le Scapate e tornare a fare utilizzo di ciò che diventa humus, fango. Non escludo altri progetti legati alla donna nella Moda. Mi piacerebbe realizzare un’opera di grandi dimensioni, magari con un progetto che coinvolga qualche ente. Mi sento visionaria, sognatrice e forse sono un po’ presuntuosa a dire questo, ma non voglio avere paura a esprimere i miei desideri».

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