Ambiente: ecco chi è l'uomo che controlla l'aria che respiriamo

Roberto Scodellini fa il punto sulla situazione della Piana fiorentina e svela alcuni falsi miti.

Ambiente: ecco chi è l'uomo che controlla l'aria che respiriamo
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Roberto Scodellini fa il punto sulla situazione della Piana fiorentina e svela alcuni falsi miti.

Ambiente:  l'uomo che controlla l'aria che respiriamo

E’ campigiano “l’uomo che controlla l’aria che respiriamo”. Si tratta del dottor Roberto Scodellini; dopo aver conseguito la laurea in chimica applicata per l’ambiente e scienze chimiche, attualmente ha un dottorato di ricerca in scienze chimiche presso l’Università di Firenze e in collocato in aspettativa presso la Regione Toscana.

«Dove per oltre venti anni sono stato collaboratore del dottor Mario Romanelli - ha spiegato - attualmente in pensione e storico dirigente del settore qualità dell’aria della Regione. A lui e al suo ex gruppo di lavoro si deve tutto quello che è stato realizzato in Toscana dalle Amministrazioni regionali che si sono succedute ed oggi è frutto solo di aggiornamenti: rete di rilevamento, rappresentatività spaziale delle stazioni, inventario delle emissioni, piano regionale della qualità dell’aria, centro regionale di riferimento per la qualità dell'aria di Arpat (Crtqa) per validare i dati rilevati dalle stazioni e progetto regionale Patos per indagare le fonti del materiale particolato».

Col dottor Scodellini cercheremo quindi di capire che aria tira nella Piana e saperne di più su qualche falso mito.

Partiamo dai dati del Pm10 rilevati nel 2018 dalle centraline presenti dell’agglomerato fiorentino...

«Calcolando la media annua ed il numero di superamenti dai dati del monitoraggio raccolti e pubblicati da Arpat sul proprio sito si rileva che nel 2018 nell’Agglomerato fiorentino le stazioni Urbane fondo (quelle rappresentative dell’esposizione media dei cittadini) di Fi-Bassi, Fi-Scandicci e Fi-Signa hanno registrato la diminuzione di 1 µg/m3 del livello di Pm10 mentre Fi-Boboli ha mantenuto il valore dei due anni precedenti. Relativamente al numero di superamenti su base annua sono nettamente diminuiti.
L’andamento dei due indicatori potrebbe essere interpretato favorevolmente, ma l’esperienza mi dice che anche se da alcuni anni i valori misurati sono ampiamente inferiori ai Valori Limite europei e quasi allineati con quelli più ambiziosi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Who), per stabilire se tendiamo veramente verso un duraturo miglioramento occorre esaminare i trends di lungo periodo. Relativamente alla media annua è possibile osservare che tutte le stazioni dell’agglomerato in passato hanno mostrato un trend di miglioramento che però si è stabilizzato dal 2014 dove le stazioni misuravano mediamente già valori analoghi a quelli attuali salvo un’oscillazione al rialzo nel 2015 probabilmente causata da un’annualità con un meteo meno favorevole alla dispersione degli inquinanti. Considerato che la media annua è un parametro che risente solo di interventi strutturali di ampio respiro, il trend raffigurato indica che fino al 2014 è stato possibile mettere in campo interventi fattibili e significativi (metanizzazione dei riscaldamenti, rinnovo massiccio del parco auto) ma dopo aver “speso” questi interventi, dal 2014, è come se non si stesse facendo nulla. Non è così, perché gli attori di tutti i livelli, quali Unione Europea, Stato, Regioni e Comuni stanno operando, ma gli ulteriori interventi da mettere in campo sono difficoltosi da attuare, almeno nel breve periodo. Probabilmente dovremo attendere almeno una decina di anni per osservare i frutti degli interventi in corso. Questi riguardano soprattutto il risparmio energetico (coibentazione degli edifici che richiederà di bruciare meno combustibile per riscadarli), l’impiego di fonti energetiche non impattanti (il solare termico), l’ulteriore sviluppo della mobilità collettiva su rotaia (tramvie), lo sviluppo di una mobilità elettrica privata funzionale ed economicamente sostenibile dalle famiglie e infine, ma non ultima, una maggiore coscienza delle persone verso atteggiamenti più rispettosi della risorsa aria».

Se la qualità dell'aria che respiriamo mediamente in un anno è migliorata, perchè nel periodo invernale si manifestano ancora superamenti dello standard giornaliero?

«Dobbiamo convincerci che le emissioni in atmosfera che generiamo sono le stesse tutti i giorni perché tutti i giorni usiamo andiamo al lavoro con il nostro mezzo di trasporto e il programmatore del riscaldamento di casa accende l’impianto alle stesse ore. Ciò che cambia è il volume della bassa atmosfera a contatto con il suolo che è condizionata dalle condizioni meteorologiche. Nei giorni in cui i nostri inquinanti non sono dispersi in un adeguato volume di aria rimangono concentrati vicino al suolo a disposizione, purtroppo, dei nostri polmoni e delle centraline che “respirando” la nostra stessa aria rilevano il superamento dello standard. Tutto questo avviene prevalentemente nel periodo invernale in giornate senza vento. Solo quando l’entità degli inquinanti emessi nell’atmosfera cittadina sarà bassa è probabile che anche in presenza di un’atmosfera “avversa” non si raggiungano livelli di concentrazione di polveri al di sopra dello standard».

Gli interventi emergenziali adottati dai Comuni sono inutili?

«Gli interventi emergenziali adottati dai Comuni nei giorni di superamento dello standard non sono in grado di ridurre i livelli di Pm10 che si verificano quando sui instaurano condizioni meteo "sfavorevoli". Purtroppo però il succedersi di giornate con atmosfera poco dispersiva permette l'accumulo degli inquinanti emessi nei giorni interessati dall'evento e l'adozione di provvedimenti che possono contenere le emissioni in atmosfera di Pm10 per evitare l’ulteriore aumento delle concentrazioni rilevate hanno una loro logica. Solo vento e/o pioggia sono in grado di "ripulire" l'atmosfera, come dimostrano i dati di quei giorni se correliamo i dati meteo resi disponibili dal Lamma con quelli delle centraline di Arpat».

L’impatto di stufe e caminetti quanto “pesa” sulla media annua?

«Dai risultati del progetto regionale Patmos è stato accertato che il contributo della combustione di biomasse (legname) è molto significativo, una combustione della legna più razionale potrebbe essere uno di quegli interventi significativi in grado di “tirare giù” anche la media annua. Non è facile dire ai cittadini che la legna, considerata da tutti un materiale naturale e una conquista fonte di benessere per l’uomo fin dalla preistoria, quando è usata come combustibile può avere effetti negativi per l’aria delle città. Bisogna sapere che la combustione perfetta della legna non è facile. La reazione non è perfetta e si producono molti residui carboniosi (polveri fini inferiori al Pm10) e altre sostanze di elevata tossicità come gli Idrocarburi policiclici aromatici che si disperdono nei fumi. I camini delle abitazioni non sono ciminiere industriali con sbocco a quota elevata, le emissioni delle case hanno sbocco dai tetti a pochi metri dal suolo e le polveri e gli altri inquinanti emessi vanno direttamente ad incrementare i livelli delle stesse polveri vicino al suolo dove respiriamo. l’impiego della legna in città e hinterland come quotidiana fonte di riscaldamento è altamente sconsigliato. Dopo quanto illustrato è ovvio che le emissioni da combustione di legname a livello del suolo, come gli abbruciamenti delle potature, sono totalmente da evitare, almeno nel periodo invernale».

L’uso di auto elettriche può essere di aiuto?

«Senso comune, le polveri emesse da questi veicoli allo scarico sarebbero pari a zero perché non hanno nemmeno la marmitta!
Sembrerà strano ma studi finanziati dall’Unione Europe hanno mostrato che oggi le emissioni in atmosfera allo scarico (Hexaust) dei nuovi veicoli a motore tradizionale benzina e diesel sono state talmente ridotte da diventare pressoché di uguale entità a quelle derivanti dalla somma delle emissioni di polveri (Non-Hexaust) da usura freni, usura gomme e usura asfalto, prodotte dagli stessi veicoli (Emep-Corinair Inventory Guidebook 2016). Pubblicazioni su riviste scientifiche di livello internazionale, come Atmospheric Environment, sostengono che i veicoli elettrici non possono ridurre i livelli di PM10 a zero come ci si aspetterebbe, a causa del loro peso relativamente elevato che comporta maggiori emissioni di polveri Non-Hexaust, da usura gomme, freni e asfalto. Le politiche future per ridurre significativamente le emissioni di Pm dal traffico urbano che osannano i veicoli elettrici dovranno tenere in conto anche di questo contributo emissivo».

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